Stavolta lo chiamo “La Grande Schifezza”, così non mi ripeto.

di Giorgia Petrini

Non ho molto da aggiungere a quanto scrissi appena visto questo film in un post che, ai tempi della prima uscita, titolai “La Grande Bruttezza”. Ci ripasso un attimo sopra giusto perché, con piglio forse profetico sull’attribuzione di un Oscar, decisi proprio in quei giorni di intitolare allo stesso modo un intero capitolo del mio secondo libro distribuendo un’ancor più ampia elargizione liberale di considerazioni negative sulla scelta di girare un film infinito, di una pesantezza rara, sugli odierni temi dello svilimento, dello schianto, della depressione moderna e dell’auto commiserazione, senza scampo. Nessuna via d’uscita, niente redenzione, mai: “Hai da murì” si diceva dalle mie parti, in Umbria. Se per caso nasci allegro e lungo strada diventi triste, sicuramente muori triste (e se eri allegro facevi finta). Si chiama accidia, temo, non Bellezza. La Bellezza è un’altra cosa. Quella Grande poi, non ne parliamo…
Taglio corto, era solo per dire che (a conferma di quanto scrivo nel mio secondo libro) La Grande Schifezza ci piace. Ci piace al punto da farle vincere un Oscar, anche nella vita. Ci piace con lo stesso gusto auto frustrante con cui passiamo la lingua su un’afta finché non se va o ci morsichiamo le pellicine delle mani finché non sanguinano (giusto perché a quelle dei piedi non ci arriviamo). E’ così.
Pensateci. E se questo film vi è piaciuto veramente, tanto da credere che un Oscar sia perfino “meritato”, provate a chiedervi perché. A volte un “Mi piace” non basta nella vita. Forse è il caso di controllare la bocca: afte in vista…? Boh, lasciatemi un commento, m’interessa veramente capire cosa vi sia sembrato bello, grande, o da Oscar.

Nulla da dire su Toni Servillo che comunque rimane bravissimo, nella stessa misura in cui Serena Grandi fa impressione, in tutti i sensi (giusto per continuare a rendere onore all’afta in ogni singolo particolare). Mi si perdoni per la sincerità senza mezza misura né tatto, ma “quanno ce vò ce vò…”. Io sono un tipo allegro.
servillosorrentino

2 pensieri riguardo “Stavolta lo chiamo “La Grande Schifezza”, così non mi ripeto.”

  1. Mi piacciono le persone che parlano con franchezza, che esprimono con crudezza il proprio sentire. Però, come ogni teorema che si rispetti, anche la sincerità esige le proprie dimostrazioni!
    Tu dici ironicamente che il film è “una grande schifezza” perché reca con sé una grande tristezza; qualcosa di tragico. Dovremmo, allora, concludere che anche l’Amleto di Shakespeare e “la nausea” di Sartre sono grandi schifezze?!
    Manca nel tuo sfogo – ma forse per ragioni di spazio o per semplici fatti tuoi, si tratta pur sempre del tuo blog, del tuo diario – una ragione sufficientemente profonda che avvalori una tale stroncatura. Che cos’é che non condividi davvero del film, a parte che induca a riflessioni tristi? …..Quale è il punto in cui, forse, vedi un non senso rispetto alla realtà dell’oggi? …….Devo forse pensare che quella metafora dei “ricchi fatui e stanchi” voluta da Sorrentino non sia stata interpretata da te come tale e che, quindi, ti sia apparso un film riduttivo, limitato alla osservazione di uno spicchio della società di oggi? ……Se è così, mi permetto di non essere d’accordo su questa chiave di lettura perché io penso che quella schiera di “uomini stanchi” sia proprio la metafora di qualcosa di più universale, dell’uomo contemporaneo.
    Ti invito, cortesemente, a leggere il mio scritto in cui ironizzo su coloro – critici cinematografici e non solo – che, in Italia, hanno attaccato il film: http://fuoriportata.wordpress.com/2014/03/05/la-grande-bellezza-contro-la-grande-bruttezza/

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    1. Penso di aver ampiamente risposto qui, nel post di maggio (https://giorgiapetrini.wordpress.com/2013/05/29/la-grande-bruttezza-di-paolo-sorrentino/) e nel capitolo del mio ultimo libro ispirato da questo film. Suppongo di averne parlato fin troppo (non essendo io peraltro né un critico cinematografico né una cultrice del genere). Per il resto non penso di dover “dimostrare la mia sincerità”, ma di poterla semplicemente manifestare, da spettatrice. Grazie per il tuo commento.

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