Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman.

di Marco Di Antonio

“Il male non è onnipotente: è possibile resistergli. Anche se resistere al male richiede gesti avventati e imprudenti.”

Potrebbe sembrare la tag-line di un videogioco ispirato alla trilogia di Tolkien, “Il Signore degli Anelli”. Invece è la sorprendente lezione che una preziosissima analisi sociologica svolta da Bauman sull’Olocausto consegna al nostro tempo presente.

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La scoperta che la sconfitta del male passa per azioni “illogiche” illumina di una luce nuova il significato che abbiamo sino ad oggi attribuito – e continuiamo con perseverante inerzia a fare – al concetto di “civiltà”, ed al suo corollario di “sviluppo”. Se, infatti, l’azione civilizzatrice induce progressivamente all’isolamento dei comportamenti “irrazionali” ed alla riduzione della violenza, trasferendone il controllo in ambito istituzionale, un altro dei frutti del processo è la creazione di un sistema di relazioni basato sulla dinamica delle scelte razionali. In una società di tale natura, l’appetito burocratico si spalanca in tutte le direzioni della realtà, contagiando di efficienza ogni aspetto dell’agire umano. Il diritto coniuga la certezza con l’utilità e la più diffusa norma morale risulta la fedeltà ai propri compiti ed alla linea di responsabilità prevista dalla ordinata struttura funzionale.

Specializzare i compiti, uno dei principi chiave della modernità, implica l’aumento della distanza tra il proprio agire e le conseguenze della propria azione. Tanto più se l’intensità tecnologica consente un incremento esponenziale dell’orizzonte che l’azione è in grado di conseguire. Questa tendenza è in contrapposizione insanabile con l’esigenza di prossimità che si manifesta nel giudizio morale nei riguardi delle proprie azioni. Così, se il movimento con cui chiudiamo un interruttore innesca l’apertura del silos di un missile atomico che, a migliaia di chilometri di distanza, viene armato per colpire un obiettivo a noi sconosciuto, la capacità di valutare moralmente la nostra scelta sarà infinitamente più debole di quella che ci verrebbe richiesta per decidere di decapitare con una sciabola un individuo di cui non conosciamo nè l’identità, nè le ragioni per cui dovrebbe morire.

Bauman mostra, con inevitabile consequenzialità, come l’Olocausto abbia potuto essere prodotto solo dalla nostra civiltà del XX secolo: senza le capacità organizzative e tecniche, senza l’atteggiamento manageriale del problem solving e, soprattutto, senza la “produzione sociale” della razionalità delle scelte via via più terrificanti, la strada della “Soluzione Finale” non avrebbe potuto essere imboccata. Eppure, per quanto sbalorditiva, non è questa la scoperta più interessante del sociologo.

La discesa verso il nucleo della tragedia fa emergere l’inquietante realtà della condizione di coloro che, nonostante fossero stati posti di fronte all’assoluta inutilità della scelta, accettarono consapevolmente la morte piuttosto che rendersi complici della morte altrui: quando ci si trova di fronte al caso di chi riesce ad anteporre il valore della vita altrui alla autoconservazione della propria esistenza, la autenticità di una legge morale primigenia – antecedente a qualunque produzione sociale – appare indiscutibile. Questa è, secondo Bauman, la lezione più importante che la nostra civiltà umana può trarre dalla tragedia dell’Olocausto: non è la razionalità che ci salva dal male, non è la logica che ci guida fuori dalle diaboliche sabbie mobili; è solo la capacità umana di agire secondo la propria coscienza, dove la verità alberga sin dal principio.

In quel luogo, infatti, il Male non può entrare.

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Modernità e Olocausto di Zygmut Bauman
Edizione originale: “Modernity and the Holocaust” 1989
Prima Edizione italiana 1992, il Mulino
Nuova edizione italiana 2010, il Mulino – 280 pagine

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