di Giorgia Petrini
Era tanto tempo che non andavo a un funerale con tanta gente. Era tanto che non vivevo l’attesa di un distacco in compagnia di chi se ne va e della sua famiglia. Era tanto che la persona che se ne va non era qualcuno con cui avessi passato qualche domenica o l’ultimo Natale.
La notte tra il 27 e il 28 Febbraio Rossella Mazzarini è nata in Cielo. L’ho conosciuta poco più di un anno fa e il primo incontro è stato esilarante, per me. A Roma, le persone così le chiamiamo ‘na macchietta: gioiosa, brillante, simpaticissima, sempre in movimento, positiva e terribilmente loquace. Era Rossella. Era una donna con una vita tanto semplice (e allo stesso tempo piena di casini) quanto fragile e, per molti versi, coraggiosa. In poco tempo, poco prima di ammalarsi di tumore, aveva perso sia la madre che il marito (di tumore anche lui), eppure non la tempra, non lo spirito, riassunti in “quel colpo di fianchi” che quasi fino all’ultimo giorno l’ha tenuta in piedi. E’ tornata alla casa del Padre in meno di 48 ore, come voleva lei, salutando tutti, vedendo tutti, lasciando un pensiero scritto a tutti, circondata da tutti, fino all’ultimo giorno, all’ultima notte, all’ultimo respiro… la chiesa era stracolma e i nostri cuori gonfi di tristezza e, allo stesso tempo di gioia, come avrebbe voluto lei, sapendola dov’è.
E’ l’eterno riposo cui sono destinati i Figli di Dio. Quelli che vanno e quelli che restano. E’ il modo in cui dovremmo tutti “augurarci di morire”, avendo intorno persone che ci amino e che fino all’ultimo momento siano disposte a prendersi cura di noi, qualunque cosa accada. In fondo, è questo che spera il nostro cuore, è questo che vorremmo: essere amati smisuratamente, incondizionatamente, senza riserve e senza limiti. Prima che amare un altro vorremmo essere amati noi. Questa è la nostra forza e il nostro grande limite. Questo è ciò che solo i santi sanno fare e che Cristo ha fatto anche per chi l’ha ucciso, odiato o rinnegato (“ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” Matteo 5, 44). Da questo, in fondo, dipende il nostro morire o meno soli o in compagnia: “dai nemici” che sceglieranno di assisterci e di amarci anche quando non avremo più alcun valore per questo mondo, anche quando non potremo più chiedere scusa, anche quando non faremo in tempo a pentirci di ciò che abbiamo fatto o non avremo più modo di poterli ricambiare (“Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?” Matteo 5, 46). Perché la cosa più difficile da fare su questa terra non è lasciarsi amare (che pure non è affatto semplice), ma amare veramente. Amare chi ci odia, chi ci condanna, chi ci ripudia, chi ci giudica, ci mente o ci tradisce. Farlo al punto tale da essere disposti ad essere lì anche quando torneranno al Padre, anche quando nessun altro vorrà assisterli, aiutarli o sostenerli.
Ecco, io non pretendo che chi mi considera un suo “nemico” faccia questo per me, ma spero e chiedo al Signore di imparare a farlo io per loro. Tutti abbiamo “sul groppone” l’amico strano, il collega che ci sta sul picchio, un parente che avremmo fulminato da piccolo, la vicina che rompe o qualcuno con cui per scelta – o peggio, per principio – non parliamo più da tanti anni, per quella cosa gravissima che accadde quella volta. E tutti abbiamo bisogno di imparare ad amare queste persone più che essere amati da loro, perché in fondo la cosa che più ci rode non è che l’altro non ci ami, ma che noi non lo sopportiamo. E più forte dell’odio (di quello che hanno fatto a Cristo) c’è solo l’amore (quello che Cristo ha fatto per noi).
A questo mi ha fatto ripensare la nascita in Cielo di Rossella e chi ha pianto e riso con lei e per lei, fino all’ultimo giorno: quello della vita è un tempo che passa, non finisce per chi crede nella vita eterna. Può passare inosservato, oppure osservante. Ecco, io spero solo di riuscire a fare in tempo a buttare un occhio sulle cose davvero importanti.
Ringrazio la famiglia di Rossella, le sue sorelle (Paola e Rita), i loro mariti (Antonio e Roberto) e i suoi nipoti (Andrea, Diana, Serena e Silvia) per avermi fatto rivivere la Grazia dell’accoglienza e della cura che solo chi spezza la morte con l’amore è in grado di donare. Ringrazio Marco (il cugino, oltre che il mio migliore amico) per avermi resa meno importante di qualcuno e per essere stato ancora una volta, per me, un esempio di grande bontà e profonda tenerezza.
Rossella era una donna forte. Quanto basta per morire, quanto serve per sopravvivere: più forte ancora sarà il ricordo che di lei terremo accanto sapendo che, se fosse qui, anche adesso direbbe: “Aò, e basta ‘mpo! Ammazza quanto chiacchierate!…”.