Sarà quel che sarà, tanto i Santi non fanno testo.

…E noi che credevamo che fosse in atto una svolta epocale! Dallo strascico catastrofico di un Presidente del Consiglio dedito al salto acrobatico sul tappeto elastico dell’Italia in crisi tra stampa e magistratura, siamo stati proiettati in meno di 24 ore tra le braccia di un governo tecnico della salvezza nel ruolo di Wolf, con la promessa di una nuova linea gialla oltre la quale sarebbe stato impastato da mani esperte l’imminente futuro di un Paese che non c’era… e che non c’è. L’arca di un Noè più esperto ed evoluto che, in fretta e furia, chiama il popolo italiano a salire a bordo di un canotto marcato Default, si arena poco dopo tra una performance da Schettino e una lista capeggiata dal pittoresco Oscar Giannino mentre il tanto deriso Beppe Grillo – quatto quatto – posiziona il Movimento a 5 Stelle in pole position… o quasi?
Mentre gli anziani stracotti promettono grandi novità, da Bersani che propone l’Italia Giusta (omettendo di precisare “secondo me”) a Berlusconi che proclama di nuovo “meno IMU per tutti” in compagnia della nuova fidanzata (forse amante dei musei delle cere…?), le storiche battaglie sulla cultura della morte (aborto, divorzio, canne e eutanasia) di Pannella e la Bonino sono sempre di moda e “i nuovi talenti” (Meloni, Renzi, Alfano, Montezemolo, Giannino…) provano a fare qualche new entry in grande stile parlando un po’ di tutto e cercando di non essere troppo scortesi con nessuno. Sono tempi in cui Dagospia sa di che scrivere mentre gli italiani preferiscono il gossip su Corona e la Belen…
Mentre tutto ciò accade sotto al grande tendone del circo equestre della politica che non risparmia più nessuno e che vede lanciarsi dal trapezio anche parecchi improvvisati, alcuni in preda alla paura da sfratto dalla memoria pubblica, e altri al O la va o la spacca, sul pianeta Terra tutto procede “in autonomia”… Dumbo è salvo, ci pensa la mamma: ognuno si guarda le spalle come può, ci si arrangia, si tira a campare. Tra una paura e l’altra si fa la cresta alla pensione dei genitori anziani, si occupano in tanti residue case di famiglia, si fanno 2-3-4 lavori non sempre legalmente, si innaffia l’ansia del futuro, si alimenta il morbo della tensione perpetua e della fretta, si nutre con sconsolazione il cancro del lamento, si coltivano semi di rassegnazione ereditaria e ci si abbandona in solitudine e con diffidenza a… quel che sarà.
L’amore vero e disinteressato (per chi lo conosce) è diventato un lusso per pochi e le preoccupazioni sul futuro percepito in mano ad altri fanno eco alla necessità di vivere più secondo moneta che non secondo virtù. La soddisfazione personale (sentita ormai nel proprio appagamento, nella realizzazione professionale, nell’autonomia/capacità economica, nell’uso autonomo del proprio tempo) è diventata una condizione primaria e necessaria per una presunta interpretazione della solidarietà, dell’amore e dell’apertura verso gli altri:

“Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,39)

… ma se non mi amo, come faccio? E se non ho tempo? E se non ho soldi? E se sono preoccupato?
Poco importa chi voteremo (e comunque andare a votare è un dovere di tutti noi, guai a non farlo). In fondo nemmeno i risultati di questa campagna elettorale avranno un reale esito sulla nostra vita di ogni giorno. Da quali certezze vorremo essere sostenuti quando avremo deciso dove mettere quella “X”? Cosa cambierà nella vita di una famiglia con 8 figli o in quella di chi si occupa da anni di un disabile? Che vantaggi esistenziali ne avranno i nostri anziani? Quali nuovi impulsi o stimoli all’affettività ne otterranno le giovani coppie, le mamme single o anche gli uomini divorziati in difficoltà costretti da malsane leggi di genere a mantenere donne “largamente emancipate” e magari opportuniste?
Continuo a pensare che negli ultimi anni ci si sia avviati a cercare di risolvere (come se avessero una fine e un inizio di facile risoluzione terrena) faccende morali, etiche, spirituali ed esistenziali con mezzi da statistiche, da benessere, da finanza agevolata, da maghi, da corretta educazione alimentare. Abbiamo affidato il discernimento vocazionale dei nostri giovani a canali di comunicazione unidirezionale (TV, giornali, in larga parte perfino il web), alla scuola che però non ci sta bene e a ciò a cui devono adattarsi per poter essere nel mondo. Il pensiero più comune di oggi su un adolescente è che senza cellulare sia un disadattato. Ha perfino “un senso economico” questo perché un cellulare a canone fisso ormai costa meno di un giorno di scuola pubblica, ma quello che abbiamo smesso di pensare è che in realtà non è vero. Abbiamo confuso l’opportunità con la necessità. Ciò che potrebbe essere opportuno (magari perché è utile o funzionale) è diventato necessario (solo perché ce l’hanno tutti) e ciò che invece è realmente necessario (perché non se ne può fare a meno per vivere, tipo l’amore) è diventato, non solo inopportuno, ma è perfino un peso. L’amore costa, è sempre caro, è sempre un rischio. Si scappa per paura di pagarne il prezzo (in tutti i sensi), di spendere troppo, di rischiare se stessi e ci si suicida a 26 anni di mal d’amore che il più delle volte amore non è. Purtroppo molte volte i giovani di oggi sono lo specchio riflesso delle opinioni altrui; spesso non sanno che fare perché non hanno le giuste domande da porsi e nessuno li aiuta ad interrogarsi; sono nati stanchi e adagiati su genitori che spesso ne giustificano perfino gli atti osceni o le scelte radicali di contestazione gratuita, superficiale e clandestina (per non dire anche violenta, quando accade); fanno incetta di informazioni vane e approssimative alimentando il riflusso di una insoddisfazione di fondo che prima di tutto gli viene dalle mura domestiche e si lasciano andare a quel che sarà… “tanto a mme nummecambia gnente”, mi ha risposto un ragazzo di 23 anni qualche settimana fa. Sembrava uscito da Arancia Meccanica…

 

Come sempre a parlare della cultura dell’amore, della civiltà dell’amore e del bene più grande (ancora una volta l’amore) è sempre il Papa, la Chiesa. Ciò che più disprezziamo è sempre ciò che temiamo veramente e temere l’amore per presunta incapacità, per paura, per protezionismo, per individualismo, per professione o per carriera è il più grande timore dei giorni nostri.
Cosa cambia un voto su una scheda elettorale (dato a chiunque) se non saremo in grado di rinunciare a niente di noi stessi? Quale candidato “meglio di tutti” sarà espressione elettorale della devozione, del sacrificio, della passione, della dedizione, della rinuncia, della tenerezza, della dolcezza, della sofferenza, del dolore e dell’amore che solo l’abbraccio gratuito di chi amiamo veramente sarà in grado di donarci? Oggettivamente, cosa ne è stato di noi e della nostra vita negli ultimi 20 anni? Abbiamo davvero avuto la sensazione che una tassa in più o in meno, un governo o l’altro abbiano influito bene o male sulla nostra esistenza? Ci siamo mai chiesti perché un disonesto (ricco o meno) evade per tutta la vita non avendo bisogno di nulla e indipendentemente dal periodo storico, mentre una famiglia che cresce un disabile lo fa (con tutte le difficoltà del caso, purtroppo) indipendentemente dalla cipria di Berlusconi? Siamo davvero così sicuri che con altri al posto di altri sarebbe così diverso e staremmo tutti così tanto meglio? O piuttosto, non stiamo forse cercando inconsapevolmente le giuste risposte ponendo domande sbagliate a persone e contesti inopportuni?
Cosa ci manca veramente per essere felici? Simona Atzori, con la quale ho avuto l’onore di vincere la stessa edizione del Premio Tular a Todi nel 2009, se lo chiede in un bellissimo libro che ancora dopo un anno dalla sua uscita fa il giro d’Italia. Una danzatrice, pittrice e scrittrice senza braccia che ha fatto del suo “handicap” una grazia infinita chiede a tutti noi, che siamo pieni di fin troppi arti, cosa ci manca per essere felici.
Forse davvero in buona fede molti di noi non lo sanno, ma perché? Porsi almeno questa domanda è nella capacità di tutti e cercare di elaborare una risposta più o meno semplice, senza pregiudizi e con una piccola riserva di umiltà, è certamente ciò che è in grado di iniziare a fare la differenza in ognuno di noi. “Guardare” quelli che si tende a definire “casi estremi” o “storie di santità” non è inutile (come molti pensano, per paura di confrontarsi con la propria – vera – povertà), altrimenti sarebbe inutile anche iscriversi a una gara di Go Kart per principianti avendo come modello Schumacher e invece questo è un tempo in cui tutti ci sentiamo grandi re dei nostri terreni e miseri imperi.

Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? (Mt 16, 24 – 26)    

Non abbiate paura di cosa votare. Andate a votare. Non preoccupatevi però di dove metterete la “X” per chiedere ad altri di operare per voi come voi vorreste, senza cercare tutte le risposte possibili alle domande più semplici della vostra vita. Anche a questo servono le storie di santità. Il problema vero, nel lato più oscuro del vostro cuore, è scegliere chi vi chiederà di pagare o meno l’IMU o il fatto che in quella casa di proprietà non c’è abbastanza amore, vicinanza, solidarietà, tenerezza, comprensione…?
Non affrettatevi a cercare di farla facile giustificando in voi stessi il desiderio e la necessità di sentirvi appagati nel possesso e nell’autonomia, della serie “Io sto bbbene comme sto”: ne conosciamo tutti troppa di gente così, la vediamo riflessa nello specchio del bagno tutte le mattine: sono i più belli del reame. Ci conosciamo troppo bene per crederci davvero. Se non lo siamo ancora, quanto meno lo siamo stati.

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