di Giorgia Petrini
Era tanto che non leggevo un post sul blog di Chiara Cecilia Santamaria. Scrissi di lei con entusiasmo (che in parte mi sentirei anche di confermare) sul Sole24Ore tempo fa. Oggi ho letto “Allora meglio il gatto” e sono caduta dalla sedia, non tanto per Chiara (libera ovviamente, malgrado il mio femmineo disappunto, di educare la figlia come vuole, ci mancherebbe), quanto per i commenti di tante donne a questo post (altrettanto libere di educare e crescere le proprie figlie come credono, s’intende).
Mi piacerebbe però sapere cosa pensano davvero, nel profondo del cuore, dove in genere non siamo noi a parlare, di un mondo in cui ognuno fa ciò che vuole, di questo Paradiso terreno new age – vecchio come il cucco – autosufficiente e spensierato nel quale “tutti amano tutti” (ma anche no) e in cui le figlie, magari, fanno figli anche da sole. Mi piacerebbe sapere con quale coraggio, o forse coscienza, si può chiamare “libertà” o “progresso” insegnare alle proprie figlie femmine che è sicuramente giusto che un giorno possano fare quello che vogliono, come lo intendono, come lo desiderano e come lo preferiscono. Magari anche facendo a meno “dei maschi”, tanto quasi non servono neanche più alle mamme moderne e indipendenti, emancipate, amorevolmente agguerrite – a lor dire – per il bene delle proprie figliuole. Oggi questa si chiama libertà, avanguardia, modernità, progresso, uguaglianza, tutte cose che non c’entrano nulla tra di loro, men che mai col fatto di dire a una figlia, soprattutto se femmina, ovvero detentrice del più grande potere al mondo (quello di dare la vita ad altri esseri umani), che siamo tutti uguali (bugia, siamo tutti diversi, ma proprio tutti!) o che da grande potrà fare come vuole (altra bugia, glielo impediranno milioni di persone, anche sua madre, di circostanze, di cose che naturalmente avverranno spesso anche contro la sua volontà). Non c’entra niente la religione qui e nemmeno la tradizione, che spesso si sceglie di contraddire per il solo gusto di contraddirla, inneggiando all’uguaglianza mentre si cerca di diventare “diversamente originali”. Neanche il conservatorismo puro andrebbe chiamato in causa. Basterebbe quasi guardare gli animali e la natura, per non parlare dei risultati delle scelte fatte cinquant’anni fa, in nome della rivoluzione sessuale o dell’emancipazione femminile, sotto i nostri occhi in ogni momento.
Non so se riceverò mai il dono di un figlio. Ad oggi mi sono prima abbandonata con fede all’attesa di un uomo che potesse un giorno divenirne il padre (che, pur sembrando “demodè” mi sentirei di definire ancora tradizionalmente necessario) e sono stata strabiliata. Se mai un giorno però dovesse accadere, ai miei figli dirò che: anche la diversità è un dono; che per grazia di Dio non siamo tutti uguali, ma tutti siamo unici e speciali; che non potranno fare sempre quello che vogliono, perché in mille occasioni avranno modo di capire che non è così che va il mondo; che mettere al mondo un figlio, nessuno, oppure tanti è un atto d’amore (che si vive) quanto di grande responsabilità (che non si sceglie né a caso né per egoismo); che i figli non sono “nostri” perché ci vengono donati (come la vita che a nostra volta riceviamo senza averla chiesta prima); che il matrimonio è un sacramento serio, bellissimo, profondo (e, scusate, cazzuto!); che i genitori si chiamano così dalla parola “geni” perché i figli – appunto – si fanno in due e godono di un patrimonio genetico indiscutibile (50% maschio e 50% femmina) che assicura ad entrambi la naturale certezza di una splendida e paritaria importanza vitale; che la famiglia non è un’opinione soggettiva, indipendentemente da quello che sentiranno e che vedranno dire e fare in giro; che amarsi è una cosa bellissima, ma che amare significa dare la vita oltre noi stessi, e non semplicemente passare un po’ di tempo con qualcuno, finché ci va, ci pare o ci piace; che il loro padre è unico, necessario e, sempre grazie a Dio, meravigliosamente diverso dalla loro madre, altrettanto unica e altrettanto necessaria…
Quando – cresciuti in questo caos – in tanti si chiederanno perché le cose non vanno come le loro mamme gli avevano promesso, dovranno guardare un gatto che, dal basso delle sue certezze, largamente sicuro di sé, consapevole di non essere né un cane né un topo, degno di essere risaputamente un grande esempio per l’umanità e fonte di ispirazione, progresso e libertà, risponderà… “Miaaaaaoo. (E questo è tutto. Se non hai capito, problemi tuoi)”.