di Giorgia Petrini
“Detroit dichiara bancarotta, un declino lungo 60 anni”, scrive il Sole. E’ la notizia del giorno. Capisco, si tratta di economia, sono cose importanti, certo. Sono posti di lavoro che se ne vanno e tanta disperazione per tanta gente. Un fallimento è un fallimento, in ogni caso e in ogni ambito della nostra storia. E’ un trapasso duro, una spada senza fodero affilata sulla vita di tanti.
La cosa che stupisce, però, è che a fare “più notizia” non sia mai il vero effetto di ciò che nel mondo accade, ma ciò che ha più senso dire, scrivere o pensare. Certo che economia e finanzia sono le ancelle protagoniste di questo tempo; certo che la borsa è sempre in testa a tutte le notizie; certo che la conseguenza peggiore di questa bancarotta non può non essere lo scossone che ne subirà il mercato dell’auto, gli investitori, lo sviluppo economico, e tante altre indiscutibili priorità. Ma certo, come poter negare tanta materia prima in cima alla lista di un chiaro disastro per l’umanità? Ti pare che a fare notizia possa essere chi resterà senza un lavoro, chi non riuscirà a risanare il debito fatto da altri, chi si renderà estraneo alla vicenda essendone stato protagonista o chi, abbagliato dal sempre verde mito americano, saprà rendere ragionevole anche la naturale assurdità di questo genere di eventi?
No, dico, in 60 anni è fallita quella che negli anni ’50 era la quarta metropoli americana! Va beh, dai, ‘mo mica sarà la fine del mondo…
Americani o no, nella vita dell’uomo, la storia è sempre la stessa: qualcosa non funziona, qualcuno ci marcia e ruba, qualcun altro mente per coprire le magagne altrui, la polvere finisce sotto il tappeto a basso prezzo e nessuno sa niente, il tempo passa e tutto tace, poi un giorno il botto e poof!… Ciao. Cocci della storia del mondo – da sempre -, tanto poi qualcuno passa e spazza. Nel giro di qualche settimana, la gente avrà troppo da fare per ricordare, e chi verrà dopo partirà già in vantaggio: tanto, peggio di così, si muore. I poveri disgraziati che ne faranno le spese finiranno nel dimenticatoio dei tanti post che su Facebook velocemente sovrascriveranno una tragedia con qualcosa di meno impegnativo per tutti, e via così. Nel bagno tiepido della coscienza silenziosa di pochi consapevoli si consumerà il tacito schianto di qualche anonimo essere umano che non riuscirà più a pagare il mutuo… ma l’importante è che si continui a parlare del mercato dell’auto, certo, che scema sono… Capisco… anzi forse no, in fondo, che ne posso sapere io di come si amministra una città o uno Stato? Bagno di umiltà, è vero… anche se ho l’ingenua impressione che, in generale, fare caso alle cose importanti e incaricare amministratori onesti, un paio di cose così a caso tra le tante, forse sarebbe già qualcosa. Ma sbaglierò, è chiaro.
Certo che in questo quadro, sorprende assai il fatto che in 60 anni non si trovi un mese, un giorno o un anno – magari anche un minuto? – in cui occuparsi della sfrenata decadenza di una città da 1,85 milioni di abitanti nel 1950, avendone chiaro il declino da tempo e sapendo bene quali conseguenze comporta la scomparsa – anche solo giuridica o fiscale – di uno Stato o una città. Saranno stati pochi abitanti per attirare l’attenzione? Può essere. In fondo 1,85 milioni di auto da vendere son bazzecole rispetto al resto del mondo…
Buffo però, no? Gli americani hanno il tempo, il denaro e gli uomini da spendere quando – in pochi minuti – si tratta di legiferare in 4 su questioni etiche di carattere universale (tipo l’aborto e i matrimoni omosessuali, “urgenze” evidenti al mondo intero, s’intende!) e non trovano una settimana in 60 anni per occuparsi del fallimento di un’intera città il cui declino imperterrito e costante è sotto gli occhi di tutti. Sembra uno scherzo del destino (per chi non crede nell’Onnipotente) e, invece, caso strano, non è uno scherzo. Cercasi volontari per lucidare l’apparenza e salvare la faccia. E’ verità: Detroit è fallita e, a quanto si dice in giro, pare che il Padre Eterno anche stavolta non c’entri nulla. Ha due alibi di ferro: non ruba e, soprattutto, non è americano…