di Titti Mallitti
Ho “subito” un aborto terapeutico. Da quando la mia ingenuità si è sfracellata sull’enorme muro-tabù dell’aborto, da quando ho capito che non sarebbe più tornata indietro e che l’avrei dovuta lasciare andare per sempre, pur sapendo che non sarei più stata la stessa, ho anche capito che non potevo restare in silenzio. Non posso far finta di non aver visto. Non posso, ora più che mai, “metter mano all’aratro e poi voltarmi indietro” (Luca 9, 62). Lo devo a Dio che ha avuto misericordia di me, troppa misericordia. Lo devo a mia figlia Benedetta e a mia nipote Martamaria che, per Grazia, sono nate e non sono state abortite. Ma sopratutto lo devo a quelle mamme che ancora dicono HO SUBITO un aborto terapeutico, ignare della Comfort Care perinatale.
Basta fare una piccola ricerca sul web per leggere le strazianti storie di donne che hanno fatto un aborto terapeutico: notare come tutte dicano HO SUBITO e HO DOVUTO, non è affatto difficile. Quanta tristezza e quanto inganno in quel “HO SUBITO” o “HO DOVUTO”; quasi sicuramente, al 90% di queste donne non è stato proposto alcun piano di accompagnamento.
E’ facile scegliere l’aborto terapeutico se è l’unica strada che i ginecologi, spesso anche obiettori, ti consigliano.
Immaginate un po’: sei al 5 mese di gravidanza e ti dicono che tua figlia, che porti in grembo, morirà alla nascita. Ti dicono che nascerà come un mostro, ti dicono che morirà in atroci sofferenze. Qual è il primo istinto di una mamma? La protezione. E quindi domandi, “cosa posso fare IO, LA MAMMA?” E ti rispondono: “La terapia è uccidere tua figlia!”. Cosa puó rispondere una mamma? Se quella è la terapia, se questa è la cura, sì, lo farò. Per Amore di mia figlia, lo farò! Mi farò introdurre in vagina delle “fialette” di prostaglandine, mi farò indurre un parto. Sarà prematuro, contro natura, e sarà più doloroso di un parto normale: non basterà di sicuro “una fialetta”, ne occorreranno almeno tre e, se dopo due giorni, mia figlia, ancora attaccata alla vita, non sarà uscita, mi faranno riposare e poi riprenderanno, dopo un giorno o due, a rimettermi “le fialette” in vagina e a indurmi di nuovo le contrazioni. Cosa pensavate fosse un aborto terapeutico? Partorire non per dare la Vita, ma la morte!
Ora, mi domando: “visto che questa terapia – secondo la 194 – serve per preservare la salute psichica di una donna, quest’ultima non ne uscirebbe più danneggiata che mai, dopo un trauma del genere?”
Sapete che vuol dire per una donna partorire? Mettere al mondo quel figlio, tuo figlio? Nel dolore atroce del parto dargli la vita? E’ la cosa più gratificante e Bella che possa accaderti nella Vita! Dare LA VITA! E se invece dai la morte? Non credo sia tanto salutare. Per questo molte mamme – sì, perché, comunque sia, saranno mamme lo stesso per sempre (come dice un famoso slogan Prolife “Se abortisci non sarari più incinta, ma mamma di un figlio morto”) – dicono ancora HO SUBITO, HO DOVUTO… Si sentono vittime e lo Sono! Non perché hanno avuto un figlio malformato, ma vittime di una società, di una mentalità abortista, che non ha permesso loro di scegliere.
Sì, si può scegliere! Si può scegliere di accogliere quel figlio imperfetto, si può scegliere di far nascere un “mostro”, perché per quanto la sua malformazione possa renderlo mostruoso, lui sarà sempre tuo figlio e sarà perfetto. Si può scegliere di dare la vita, anche se breve, si può scegliere di farlo morire tra le nostre braccia.
Il nostro “diritto” all’aborto non ci è stato negato. Quello alla vita, SI!
Diteci che abbiamo due scelte: ABORTIRE e PARTORIRE. Diteci che accompagnare un figlio è una terapia vera e propria! Ditelo a queste mamme che esiste la Comfort Care perinatale, ditelo! Affinché mai più nessuna mamma possa dire HO SUBITO, HO DOVUTO… ma dire HO SCELTO!
Come medico, ho ascoltato più volte il senso di colpa delle donne dopo 10, 20 e anche 30 anni dall’aborto, soprattutto quello “terapeutico” e il senso di ineluttabilità nella scelta. L’ipocrisia profonda della nostra società è quella di far passare il messaggio di poter evitare la sofferenza di neonati ed adulti malati ( si abortiscono infatti non solo i bambini destinati a morte precoce, ma anche quelli con tare cromosomiche o genetiche o con malformazioni compatibili con la vita), ma, non potendo discriminare le persone con handicap, ufficialmente tale pratica è a tutela della madre ( salute fisica e/o psichica). Come se la salute di una persona valesse di più della vita di un’altra!
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