di Marco Di Antonio
Ci vuole coraggio per inoltrarsi tra le vie percorse da Renè Girard alla ricerca della Verità. Sin dall’inizio del viaggio in cui ci invita ad accompagnarlo, infatti, si avverte un disagio quasi claustrofobico davanti alle pietre tombali divelte e alla terra rimossa dalle fosse comuni. L’apparente labirinto, che intreccia le attività persecutorie di antiche e più recenti società umane, si dipana con ineluttabile continuità e con sorprendente agilità tra i passaggi impervi della mitologia e le trappole dell’interpretazione comune dei testi fondativi e dei dati etnografici di ogni civiltà. Partendo da un’episodio apparentemente minore, registrato in un manoscritto medievale, Girard procede – con l’ironica determinazione del coevo Indiana Jones – alla puntuale decifrazione degli enigmi che separano il lettore dall’affascinante scoperta di un tesoro assolutamente unico, nascosto fino all’ultimo – e nel luogo meno sospettabile – agli occhi dell’uomo. La bellezza salvatrice del mondo – e questo è il tocco magistrale, forse non inavvertitamente contenuto nella rivelazione – rimane al riparo dallo sguardo dei potenti. Una lettura che è metafora dell’avventura stessa dell’esistenza: cosparsa di indizi su quanto è già accaduto, folta di segni su quello che ci attende. Sempre fonte inesauribile di stupore per chi non si accontenta di fermarsi al confine delle proprie percezioni sensoriali e chiede ad ogni cosa, ad ogni manifestazione del reale il suo vero significato: per chi crede che quello che esiste, come suggeriva Eugenio Montale, porta scritto “più in là”.
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