di Mimmo Zardo
Incontro mia moglie a Torino il 27 Settembre 2003 in un pub il sabato sera, era in un altro gruppo cittadino dello stesso circolo culturale che frequentavo all’epoca. Si era appena iscritta all’università, corso di lingue e letterature moderne.
Formiamo una coppia e poi dopo un anno ci sposiamo, in Italia, a Carmagnola.
Viviamo in provincia di Torino, dapprima a Rivarolo Canavese e poi in Valchiusella (ad Alice Superiore).
Mia moglie acquisisce la cittadinanza italiana nel 2006 (con rito di giuramento sulla Costituzione), poi ad inizio 2009 si laurea.
Erik viene concepito il giorno di San Valentino del 2009, nasce esattamente 9 mesi (e poche ore) dopo, il 15 Novembre 2009.
Arriva (al suo secondo viaggio) mia suocera in visita dall’Ucraina, ed Erik affronta un primo evento infausto, dai contorni piuttosto oscuri: le due donne gli annodano due coperte attorno al corpo, ed il piccolo ha un arresto respiratorio da cui il mio intervento e quello dei medici del 118 lo salvano.
Iniziamo la ristrutturazione di un fabbricato su un terreno di mia proprietà ad Alice Superiore, Erik frequenta l’asilo nido locale.
Io utilizzo il congedo parentale per passare sempre più tempo possibile con mio figlio.
Erik adora il posto in cui viviamo, ha molti amichetti, vuole bene a me come a sua madre, è un bimbo intelligente, allegro, sereno, precoce, splendido.
Erik cresce sano e bellissimo, intanto mia moglie mi convince ad ospitare sua madre affinché entrambe possano trovare lavoro ed aiutarsi reciprocamente.
E’ il 2011, mia suocera non si muove mai di casa, da 5 mesi è nostra ospite costante, non parla l’italiano, è molto insofferente e vagamente paranoica, si intromette pesantemente nella nostra vita famigliare distruggendo ogni equilibrio di coppia.
Ad agosto 2011 mia moglie viene contattata da un suo vecchio amico ucraino su un social network, ma mi dice che in realtà di lui non le interessa più nulla ed anzi mi dichiara di voler chiudere quel profilo Facebook.
A settembre 2011, mia moglie attua una strategia preordinata, di concerto con sua madre: cerca in ogni modo di spingermi a discutere in continuazione in presenza di sua madre e di nostro figlio, non fa più la spesa, non pulisce più casa… Io chiedo a Tanya di far tornare sua madre per un po’ in Ucraina (d’altronde, ha pur sempre un marito anche lei!), ma mia moglie mi risponde che piuttosto se ne sarebbero andate entrambe.
Una sera Tanya urla a più non posso ed inveisce contro di me, intanto sua madre fa chiamare da un vicino i carabinieri dicendo che io le sto aggredendo. L’intervento dei militari non porta a null’altro che a poter spiegare l’accaduto, ognuno dal suo punto di vista: intanto il bimbo gioca tranquillo e sta in braccio a papà e
mamma come sempre, e la cosa sembra finire lì. Io, molto stanco perché ero rientrato assai tardi dal lavoro, vado a dormire.
Il mattino dopo Tanya esce di casa molto presto con sua madre, portando via il bimbo e tutti i suoi effetti personali, soldi, gioielli: io non mi accorgo di tutto ciò che avevano già accuratamente preparato nottetempo, quando mi alzo non c’è più nessuno. Mia moglie è uscita di casa per non tornare mai più, tagliando per di più
ogni comunicazione con me e la mia famiglia d’origine e divenendo irreperibile.
Mesi dopo verrò a sapere che quel mattino mia moglie innanzi tutto deposita una denuncia penale contro di me per violenza, maltrattamenti, mancanza dei mezzi di sussistenza. Tutte le accuse che muove, comunque, NON riguardano il rapporto fra me ed il bambino. Eppure, è una mole di accuse assai pesanti.
Praticamente, vuole distruggermi giuridicamente sfruttando a suo vantaggio una importante forma di tutela che l’Italia garantisce verso le persone in difficoltà: impersonando in malafede il ruolo della povera donna maltrattata, ed abusando delle protezioni che in questo caso vengono offerte.
Intervengono i Servizi Sociali, che non sanno bene che fare. Mia moglie non vuole più che io veda il bambino, dice che vuole essere protetta rispetto al rischio che io la aggredisca; i Servizi, nel dubbio,
decretano l’allontanamento temporaneo di mamma e bambino ma cercano di consentirmi almeno degli incontri protetti perché io non perda i contatti col bimbo, chiedendo al Tribunale dei Minorenni di decidere in proposito sul da farsi.
Io riesco a vedere mio figlio a singhiozzo, pochissimo nonostante io utilizzi tutti i giorni di ferie che ho a disposizione per poter esserci ogni volta che mi viene consentito anche solo un breve incontro, attendo di capire che cosa sta succedendo, nomino degli avvocati ed inizio a pagare delle spese legali che lieviteranno sempre più, fino a quote incredibili…
Il Tribunale dei Minorenni stabilisce che io devo poter vedere liberamente mio figlio, di fatto toglie l’incarico ai Servizi Sociali e ritiene infondato l’allontanamento del bambino da me e dalla casa dove è nato e cresciuto.
Purtroppo a quel punto la competenza passa al Tribunale Ordinario in quanto io e mia moglie siamo ancora coniugati. Così si ha un mese intero di interruzione di ogni incontro fra me ed Erik: io non so dove si trova, di mia moglie e mia suocera non so più niente.
Mia moglie tramite un avvocato ed una pesante azione legale presso il Tribunale Ordinario cerca di impedirmi definitivamente di poter frequentare il bimbo; inoltre fa richiesta di separazione giudiziale
chiedendo l’affido esclusivo del bimbo.
Il Giudice respinge la prima richiesta e giudica gravemente pregiudizievole il comportamento di mia moglie, sia verso il bimbo che verso me, e le impone di consentirmi un calendario di visite regolari. Nel frattempo si avvia il lungo iter del procedimento di separazione.
Io intanto passo il primo Natale senza contatti con mio figlio.
Siamo a gennaio 2012. Io riesco di nuovo a vedere mio figlio: tre volte alla settimana, per un numero esiguo di ore secondo i diktat di mia moglie, ma io non manco mai agli appuntamenti; mia moglie torna a parlarmi brevemente in occasione dei momenti in cui vado a prendere e riportare il bimbo a Chivasso, dove ormai è chiaro che si è trasferita Tanya (55 km di distanza da dove abitavamo e da dove Erik era vissuto e cresciuto).
Cerco di instaurare una minima forma di dialogo, credendo ancora in una qualche possibilità di collaborazione fra noi due genitori per il bene del bambino; mia moglie in realtà aspetta solo la prima udienza del procedimento di separazione, per avere accesso al solito mantenimento vitalizio che di solito è lecito aspettarsi in questi casi. Io pago già quel che posso, ma per lei non è abbastanza, vorrebbe punirmi per questo riducendomi le possibilità di vedere Erik.
Nel frattempo si avvia un processo penale contro di me in virtù della denuncia che mia moglie sporse il 19 Settembre 2011, quando andò via di casa. Processo a cui mia moglie non parteciperà mai, ma che va avanti in una sorta di inversione del principio di innocenza che sta alla base del diritto: dove un uomo, se accusato, è quasi
tenuto a dover dimostrare lui la sua innocenza, perché si tende a presumerlo colpevole. Una cosa che rende estenuante il tentativo di ricondurre il procedimento su un filo logico. Però, affronto anche questo: per ora nulla di fatto, ma intanto il procedimento resta in piedi in attesa che la “Signora Gordiyenko” venga a confermare le accuse.
Arriva l’udienza presidenziale del procedimento di separazione, il 12 Aprile 2012, e con essa arriva la decisione di affidare Erik congiuntamente ai due coniugi, stabilendo al contempo il “vitalizio” che il padre dovrà corrispondere alla signora, e mantenendo su tre giorni alla settimana la frequentazione padre-figlio.
Mia moglie è estremamente delusa per non aver ottenuto l’affido esclusivo, ed allora decide di far quello che aveva pianificato pur senza averne titolo: portare via dall’Italia Erik, e renderlo orfano di padre vivente. Il tutto con la complicità fattiva di mia suocera.
Esattamente un mese dopo, il venerdì 12 Maggio 2012, io vedo mio figlio per l’ultima volta, e lui cerca in tutti i modi di farmi capire che “vai via mamma!”, ma io non so far altro che invitarlo con un sorriso mesto a non dire così… Non volevo che parlasse male di sua madre, nonostante tutto.
Solo dopo tre giorni capirò che intendeva dire “mamma va via!” per avvertirmi: aveva probabilmente visto di nuovo far le valigie, ed aveva intuito che c’era qualcosa di simile alla prima volta, a settembre dell’anno prima. Povero Erik, come tutti i bimbi era molto più intelligente di noi adulti!
Il 13 Maggio 2012 mia moglie è ormai quasi all’ingresso della frontiera ucraina, quando mi scrive per l’ultima volta in risposta ad una mia richiesta di conferma per l’appuntamento successivo: “ok tutto bene, ci vediamo domani”.
Al successivo appuntamento non si presenterà mai nessuno, ma ormai avevo già allertato le forze dell’ordine, perché dopo quel messaggio mia moglie spegne tutti i cellulari, mia suocera idem, l’email da me conosciute non l’usano più, il contatto Skype è muto, e così diventano irreperibili.
Purtroppo, per poche ore non vengono fermate alla frontiera, e così si avvia con pieno successo il loro piano di far di Erik un orfanello da accudire come un bambolotto, lontano da qualunque relazione con la sua Patria e con ogni suo riferimento culturale, linguistico, sociale, alimentare, sanitario, storico. Un progetto degno di persone di cattiva volontà.
Sporgo denuncia per scomparsa di persone.
Due mesi più tardi, l’Interpol localizza mio figlio in compagnia della nonna materna in Ucraina, a Zhytomyr, nella casa dei miei suoceri.
Sporgo denuncia per sottrazione internazionale di minore e sequestro di persona.
In pochi giorni (04-06-2012) predispongo una istanza ai sensi della Convenzione dell’Aja 25-10-1980 per il rimpatrio del bambino cittadino italiano, rimpatrio che ai sensi della Convenzione dovrebbe avvenire in un massimo di 6 settimane, e nel frattempo dovrebbero essere garantiti incontri fra il minore ed il suo genitore
abbandonato, cioè io.
Mia moglie non consentirà mai alcun incontro, e in Ucraina dichiarerà all’Autorità Giudiziaria di non aver alcuna intenzione di permettere ad Erik di rientrare in Italia.
Non ho alcuna possibilità di vedere o sentire mio figlio, e nessuna delle Autorità italiane da allora coinvolte nella vicenda riuscirà mai più a vederlo o sentirlo: Ministero di Giustizia (DGM – Autorità Centrale Convenzionale), Ministero degli Affari Esteri (Ambasciata d’Italia a Kiev e relativo Consolato), Autorità Giudiziaria italiana che nel frattempo chiude le indagini.
Passo un altro Natale senza poter più neanche immaginare come stia mio figlio e se ancora si ricordi di me.
L’inizio del processo contro mia moglie, in flagranza di reato e dichiarata irreperibile, viene fissato a settembre 2015… Quello contro di me era iniziato in soli tre mesi. No comment.
Sul fronte civile, poiché il procedimento di separazione prosegue e si susseguono udienze a cui neppure l’avvocato di mia moglie partecipa più (nel frattempo aveva anche dismesso il mandato per “impossibilità di contattare la cliente”), con una CTU decisa dal Giudice, io ho ottenuto l’affidamento esclusivo del bimbo, l’ordinanza di rimpatrio, e l’istituzione di incontri protetti fra il bimbo e la madre. Peccato che intanto, questa sentenza rimanga una chimera, visto che il bimbo non si trova.
Stimolato dall’Autorità Centrale Convenzionale italiana (DGM), che non riesce ad ottenere alcuna fattiva collaborazione dalla sua omologa Autorità ucraina, mi reco direttamente in loco per almeno presentarmi alle Autorità ucraine della città dove si ritiene debba trovarsi mio figlio, e chiedere, con l’intercessione dell’Ambasciata d’Italia, il loro intervento.
Incarico anche un legale ucraino di una serie di pratiche da svolgere sul posto, fra cui la richiesta di riconoscimento ed applicazione della sentenza italiana di affidamento esclusivo e rimpatrio. Mi rivolgo
anche all’ufficio nazionale di tutela dei diritti umani (Ombudsman ucraino). Ipotizzo anche di rivolgermi alla Corte Europea dei Diritti Umani, di cui l’Ucraina fa parte come membro del Consiglio d’Europa.
Il mio viaggio in Ucraina si svolge in concomitanza del quarto compleanno di Erik. L’anno prima ero andato a celebrarlo manifestando davanti al Consolato Generale dell’Ucraina a Milano, dove ero stato anche ricevuto dal Console il quale però non mi aveva offerto alcun aiuto concreto nella vicenda, ma aveva negato di aver
fornito a mia moglie un passaporto ucraino per espatriare dall’Italia senza la mia autorizzazione. Merita fiducia questa asserzione?
Venerdì 15 Novembre 2013 mi reco, insieme al vice-console italiano, presso gli uffici dei Servizi Sociali di Zhytomyr, chiedendo il loro intervento. Vengo a sapere che mia moglie lavora nel palazzo di fronte, settore “Politiche per la Famiglia” dell’amministrazione regionale. Allora in quel momento capisco perché non ho alcuna speranza di ottenere la collaborazione delle autorità locali… Ed anche comprendo perché il nostro Ministero di Giustizia non ha ottenuto alcun rispetto della convenzione dell’Aja 1980 dall’Ucraina.
Ciononostante deposito una istanza formale con la richiesta che il locale Servizio Sociale di Zhytomyr si faccia carico di organizzare incontri protetti fra me e mio figlio, in attesa che la sentenza di rimpatrio e di affido esclusivo sia riconosciuta dall’A.G. ucraina. Mi viene detto che la settimana dopo mi avrebbero fatto sapere, e nel frattempo avrebbero chiesto a mia moglie che ne pensava. Ma mia moglie non vuole, e non consente nemmeno al personale dell’Ambasciata italiana alcun contatto col bimbo od informazione sulla sua situazione socio-ambientale ed abitativa.
Mi riprendo in spalla i pacchetti che avevo portato dall’Italia con i doni per mio figlio, e resto con una amarezza inconcepibile. Sono venuto in Ucraina, ho fatto migliaia di km… E pur essendo arrivato
potenzialmente a poche centinaia di metri da lui, non gli ho nemmeno potuto far sapere che suo padre esiste, e che l’ha sempre cercato, e che gli vuole sempre una infinità di bene.
Tutta questa sofferenza di un figlio, di un padre… Per le paranoie e le gelosie morbose di una nonna e di una madre di cattiva volontà, col loro insaziabile desiderio di possesso assoluto nei confronti di quel bimbo, come se si trattasse di un oggetto in balìa del loro “diritto di proprietà” e non di una persona con delle volontà proprie e dei diritti umani fondamentali, fra cui la libertà.
A volte viene davvero da chiedersi dove stia la violenza più meschina…
Povero Erik, un altro bimbo che ignaro di tutto si illudeva che esistesse un principio chiamato “bigenitorialità”, cioè la frequentazione equilibrata dei propri due genitori naturali ed il diritto ad essere da entrambi loro cresciuto ed educato, e amato. Lui che li amava entrambi, ma ha dovuto uccidere dentro di sé
la sua parte paterna per la sola ingiustificabile volontà di sua madre.
Che generazione futura stiamo crescendo, mentre permettiamo che così facilmente i bambini possano crescere perdendo ogni contatto (o quasi, nei casi più fortunati) con uno dei loro DUE genitori? Forse
facciamo l’interesse momentaneo di una “fazione”, o l’interesse economico (ingente, di certo!) di uno stuolo immenso di approfittatori che campano allegramente sulle disgrazie altrui e sulla distruzione delle famiglie, ma non certamente l’interesse della nostra società civile. E sopratutto, certamente NON facciamo l’interesse preminente dei minori.
Alice Superiore, Italia, 11-12-2013
il padre di Erik
Non trovo più le parole per poter esprimere quello che ho provato leggendo la storia di Mimmo e di Erik.
Mi auguro solo che il piccolo Erik possa al più presto riabbracciare questo papà eccezionale.
Con sincera commozione e profondo rispetto per questo dolore.
Un forte abbraccio.
Massimo
"Mi piace""Mi piace"
Mi dispiace per lei e per il suo figlio. Dovrebbe contattare ” Change.org” sono bravissimi in questi casi difficili…Buona fortuna
"Mi piace""Mi piace"