Qualcuno crede che io sia una pazza, o una specie di strega: quantomeno mi ritengono tutti una persona molto “strana”. Strana perché sono “troppo giovane” per vivere da sola in una casa come questa e magari per essere riuscita a comprarla; strana perché non ci sono mai e quando ci sono faccio yoga o mi siedo accanto al cane di sera a bere tisane e a guardare le stelle con lui; strana perché qui non viene nessuno e tutti credono che io non abbia amici; strana perché esco presto la mattina e torno tardi la sera (e nel week faccio il contrario…).
Chissà quanti altri arcani misteri, precetti e leggende gireranno su di me da queste parti.Basta guardare la gente. La gente parla anche quando è convinta di non aver detto una parola. Nei gesti, negli occhi, nel modo di respirare e di camminare della gente, se si osserva bene, si trova tutto; tutto di ogni singolo componente del branco umano. Osservare con attenzione e rapire per qualche istante la personalità della gente è il segreto per interpretare gli extraterrestri che (s)popolano il mondo.
Al termine “extra-terrestre” abbiamo dato il significato di “alieno proveniente da un mondo diverso dal nostro e a noi ancora sconosciuto”; io chiamo “extraterrestre” colui che (s)popola il nostra pianeta. Prima lo invade rigenerandosi e crescendo attraverso gli usi e i costumi del branco che lo precede, poi ne consuma (senza mai ridarne indietro neanche una parte) energia e forza per sopravvivere e coesistere con gli altri membri del branco (sui quali al contempo cerca di prevalere in ogni modo) e infine lo abbandona scegliendo a seconda dei casi di disperdere le sue ceneri nell’oceano o di essere sepolto in una buca, avvalendosi anche in punto di morte di quello che il mondo gli mette a disposizione (nel primo caso ricorrendo all’acqua, nel secondo alla terra). Con questo non intendo affatto dire che l’uomo viva a “scrocco” del mondo senza mai dare nulla in cambio, ma che dovrebbe soffermarsi almeno ad osservarne le fattezze, cosa che invece in genere non fa. Cogliamo un fiore prima ancora di averlo osservato con attenzione e senza riflettere sul fatto che, una volta colto, non potremo più osservarlo li dov’era; guardiamo il cielo per capire se è una buona giornata per andare al mare e non facciamo caso all’uccello che è appena passato davanti a quell’unica, piccola nube che ci mette pensiero (e che in realtà è il nostro alibi per nascondere la nostra non voglia di andare al mare); sbucciamo carote e patate con una fretta tale (dovuta alla fame e al pensiero di vedere la cucina di nuovo pulita) da non chiederci mai perché carote e patate non nascano direttamente senza buccia, o non crescano sugli alberi come invece fanno le susine, i fichi o i peperoni… no, i peperoni no; facciamo zapping in tv in piena notte (anche in preda ad un sonno da insonni) con la speranza di trovare la donna più nuda che ci sia nell’arco di 345 canali che abbiamo a disposizione (oltre alla parabola, al digitale terrestre e alla tv di fastweb), e non ci sfiora neanche lontanamente di chiederci come si chiami una volta trovata; andiamo al cinema a vedere il film dell’anno e siamo talmente presi dal casino e dalla trama che per nessuna ragione al mondo ci verrebbe mai in mente di chiederci chi si è seduto sulla poltrona dove siamo seduti noi ora da quando esiste quel cinema; portiamo il cane al parco a fare una passeggiata e ammazziamo il tempo chiamando dal cellulare tutti gli amici con i quali passiamo i nostri week end, senza domandarci se sullo stesso punto esatto in cui sta annusando insistentemente il nostro cane non ci sia magari passato un suo avo un centinaio di anni prima… per poi scoprire che era solo una cacca di cavallo in un punto in cui di solito crescono solo dei trifogli (quindi il cane ha semplicemente “notato la differenza”).
Quanta poca importanza diamo all’osservare le cose e gli eventi che ci circondano. Tutto ci passa a fianco, davanti e dietro, sopra e sotto, senza che al tempo sfugga neanche un secondo della vita di cui vorremmo essere padroni a pieni poteri, sapendo benissimo che non lo saremo mai.
Il tempo e la vita… due costanti energiche e disinvolte che lottano l’una contro l’altra come se una sola delle due possa averla vinta, quando l’unico elemento certo ad accomunarle entrambe è la morte: il “gong” che annuncia irrimediabilmente che l’incontro ha avuto fine e che i due pugili sono entrambi al tappeto.
Quando finisce la vita è finito il nostro tempo e, se mai ce ne sarà un altro, finirà anche quello… Pari e patta: tempo e vita entrambi …al tappeto. La consapevolezza di questo innegabile limite umano è alla base di ciò che contribuisce a distinguere tra loro i singoli individui che, insieme, danno vita alla gente.
Ognuno di loro ha un numero di “round” da rispettare e un incontro da combattere, nell’arco di un tempo limitato a quello che il gioco intrapreso prevede. Questo è il primo spunto da cui trarre informazioni sulla gente che bazzica all’interno del casinò della vita dove c’è chi sceglie di scommettere, chi vuole giocare duro, chi investe i risparmi di una vita in un fallimento e chi diventa ricco solo barando.
Questa è la gente.
Io ho sempre pensato di vivere la mia vita giocando solo al gioco del tris, dove chi comincia per primo ha un numero bassissimo di possibilità di perdere la partita se pensa bene a dove piazzerà la prossima X o il prossimo O: gioco semplice, rapido e anche piuttosto prevedibile.
Almeno fino a questo momento, il mio segreto (del quale solo io ero a conoscenza, perché un segreto noto a più di una persona non è più un… segreto) è stato quello di trovare il modo di giocare semplici, rapide e prevedibili sfide di piccola entità, o comunque di un’entità ocontrollabile, sapendo benissimo che tutto ciò che supera una misura che non rientra più nella dimensione di un nostro sguardo, per ovvi motivi rischia di diventare difficile, lunga, dispendiosa ed imprevedibile. Ciò non vuol dire che io avessi assegnato all’orbita del mio sguardo un breve circuito, ma che io avessi previsto un’orbita tanto grande quanto utile a contenere il mio …metro di misurazione degli eventi che mi circondano.
Volendo rappresentare il concetto in una sorta di equazione filosofico-matematica, potrei dire che:
Commento della formula:
se riesco a suddividere gli eventi ottenibili della mia vita (che sono obiettivi prefissati) su un mio metro di misurazione degli eventi grande a piacere, ottengo come risultato la differenza fra gli eventi previsti in natura (tutte le cose possibili) e quelli che io non sono riuscita ad ottenere, ovvero quello che ho realmente ottenuto dalla vita in considerazione di quello che io avevo pianificato come ottenibile e di quello che avrei potuto ottenere in quanto esistente in natura.
Maggiore è il metro di misurazione che uso nella prima parte dell’equazione, più alta è la mia probabilità di ottenere dalla vita un numero di eventi sempre più vicino al numero totale di eventi previsti in natura, ovvero: se immagino di fare tante delle cose previste in natura e a queste sottraggo quelle che decido di non fare, ottengo un risultato maggiore di cose ottenute rispetto a quello che otterrei se immaginassi di fare poche delle stesse cose previste in natura.
Non approfondisco ulteriormente questo spunto filosoficamente matematico perché rischierei di fare della “filosofia del cazzeggio” (trama principale del libro) una filosofia “seriamente” interpretabile e alla fine scriverei un libro paradossalmente sensato (ed inevitabilmente pallosissimo), dimenticando che avevo iniziato con l’intento di scrivere un libro privo di trama, privo di senso e privo di argomentazioni comunemente definite logiche.
Torniamo al nostro premeditato stato brado di incalliti consumatori di gelato squagliato davanti agli otto film della prima parte e guardiamo la vicenda da un punto di vista umanamente meno intriso di equazioni e filosofia.
La domanda reale è:
“cos’è la vita (in funzione del tempo) e cosa ci fa la gente nella nostra vita e con la propria?”
Questo è l’obiettivo principale dell’argomento da chiarire sul quale siamo… deambulati al punto in cui ci troviamo.