Chi è mai veramente libero?

di Giorgia Petrini

Oggi ho letto su internet (da più fonti attendibili che non riporto per scelta) del suicidio di un preside sloveno (sposato e padre di famiglia) sorpreso e filmato dai propri studenti a praticare sesso in un’aula con una professoressa di matematica. Inutile dirlo, il video è finito in rete e il preside si è tolto la vita. Si è tolto la vita. Si è tolto la vita.

In queste occasioni, quando penso alla scrittura, a questo blog, alle riflessioni che con voi condivido, rendendo pubbliche “le mie paturnie” senza essere interpellata da nessuno, mi sento investita di una grande responsabilità. E’ una questione che spesso mi pongo. Chi scrive comunica. Dice delle cose. Spesso, addirittura, anche senza saperlo o volerlo, condiziona orientamenti, scelte, consensi, dissensi, pensieri, parole e perfino opere di chi legge. Quello che dice, scrive o, forse peggio, quello che fa è -in un certo senso- sempre di pubblico dominio e a disposizione diretta delle persone che fanno parte della nostra vita, reale o virtuale che sia, anche nostro malgrado.

Tutti abbiamo sempre “un impatto” su qualcun altro, anche i più nichilisti e convinti profeti della propria autonomia e indipendenza. Lo abbiamo sul vicino di casa quando non lo aspettiamo in ascensore; sul saluto che togliamo a qualcuno che magari ci resta male; su uno sconosciuto che tamponiamo; sulle conseguenze del lavoro che facciamo; sui figli che per scelta non metteremo al mondo; sugli anziani dei quali decideremo di non occuparci. Ognuno di noi, anche chi dice il contrario, è sempre direttamente coinvolto nella vita di qualcun altro, che lo voglia o no, e viceversa. Non è questione di avere un’opinione a riguardo. Viceversa, è la realtà che ci riguarda. E’ lei ad “avere la meglio” e ad essere predeterminata, non noi. Noi stessi siamo stati chiamati alla vita da “un’azione concreta” dei nostri genitori con la quale non abbiamo potuto interferire, e con quelle realtà dovremo condividere le nostre esperienze, le nostre storie, i nostri “affari di famiglia”.

Ricevo lettere di persone che non conosco e che hanno conosciuto me attraverso i miei libri o per questo blog e quello che mi dicono e mi scrivono mi rende ancora più responsabile di quello che dico, di quello che penso (anche quando non lo condivido) e di una coscienza soggettiva che ci è stata affidata per essere “assoluta”. Quello che scelgo per me è ciò che dovrei desiderare sempre per gli altri (il meglio, il bene). “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Matteo 7, 12). Altrettanto, quello di cui mi privo o da cui, come direbbe San Paolo, “mi astengo”, è ciò che dovrei suggerire anche agli altri “di evitare”, di non fare (il peggio, il male). In fondo, di questo sono fatte anche le opere di misericordia, una più bella dell’altra: un vero diario di bordo per condurre virtuosamente una vita sana e bella da tutti i punti di vista.

E’ un principio universale questo, sempre valido, per tutti. Non “dipende” da niente. Piuttosto è conseguenza di qualcosa: il preside si suicida per le scelte di qualcuno che ha vissuto quelle di qualcun altro che ha subito quelle di altri ancora, e così via.

Chi è mai veramente libero? Solo chi non sbaglia mai o chi fa tutto bene (se esiste)? Solo chi se ne frega per scelta (ammesso che ne sia capace) del giudizio degli altri? O magari solo chi si fa gli affari suoi (ammesso che ci riesca)? Forse, lo è chi vive da solo? O forse, chi non si sposa? Magari, chi si separa? O chi diventa ricco?

Penso che veramente libero sia chi s’interroga sul bene. E il bene non è mio, tuo o loro. E’ nostro, è di tutti. E tutti siamo chiamati a un’unica scelta: quella di perseguirlo. Fare o non fare una cosa, farne o non farne un’altra, non è uguale. E’ diverso. E’ molto diverso.

In casi come quello da cui ho tratto l’ispirazione per scrivere questo post, ci passa perfino la differenza più importante di tutte: quella tra la vita e la morte. Un’occasione irripetibile e immutabile che si verifica una sola volta nella vita di tutti e che non si “aggiusta”, non si rimedia.

Pace all’anima di quel preside e di chi, probabilmente non volendo arrivare a tanto, ha condizionato con un atto concreto, procurato da una “scelta di libertà” che poteva anche non essere fatta, la sua vita e quella di altre decine di persone a lui direttamente -o indirettamente- legate. Pace a quei ragazzi che di questo avranno pena e per questo vivranno nella difficoltà e nella disperazione per tanto tempo.

Pace al cuore dell’uomo, oggi drammaticamente distorto da una realtà divenuta surreale, virtuale, artefatta e corruttibile (anche se solo in apparenza).

A Dio giudicarci tutti. A noi porci domande diverse.

liberi_per_il_bene

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