Se la vita si complica, w l’Italia e chi se ne frega!

Della questione del voto elettronico se ne parla da tanto quanto di quella delle macchine a idrogeno. La cosa che più fa sorridere è che Facebook ne faccia uso (secondo me a ragione) ormai per ogni cosa e che per ogni cosa interpelli il globo a costo zero e “a spese” (per l’utente) di un Like fatto da casa o dall’ufficio… Qui si tirano giù le montagne e si prosciugano i mari per farci credere che non si possa fare diversamente, ma non è vero, e purtroppo nessuno (volutamente) lo spiega a chi da solo non lo sa, non lo impara, non lo scopre o non ne viene a conoscenza in qualche altro modo. In tempo di elezioni, la gara a chi spende meno in campagna elettorale è diventata a sua volta La Campagna Elettorale da fare. Il confronto non avviene con chi, come Facebook, non spende proprio per l’attività del voto di per sé, ma sempre con chi spende troppo. Siamo sempre lì. Io spendo meno? Può essere, ma rispetto a chi, per fare cosa e per farlo come è materia di …Shrek.
I primi a farci spendere soldi, ancora prima di cominciare, sono gli statisti del paleolitico ancora in circolazione interpellati per infondere in menti terze la goccia cinese di quel che il nostro vicino di casa quasi sicuramente non voterà davvero… Aom, aom, aommm… Fanno sondaggi a campione che aspirano ad un risultato che non ottengono mai e nel frattempo sperano forse di gareggiare con le tanto discusse previsioni del tempo che ultimamente danno …neve al Cairo?
Sondaggi ed elezioni: entrambe le cose potrebbero avvenire da anni via web senza alcun rischio, con la massima trasparenza, in velocità ovunque ci si trovi, inquinando di meno l’ambiente senza recarsi in un seggio fisicamente, con un impatto economico – finanziario che in proporzione a quanto accade oggi equivarrebbe ad una manciata di soldi spicci… e con altri innumerevoli vantaggi che odorano di bene comune e di senso civico, di semplicità. Il fatto vero è che farla facile, magari troppo facile, mette a rischio troppe cose, troppe poltrone, troppe magagne.
Tante volte mi è stato chiesto, anche di recente, come si potesse fare a mettere in piedi strumenti in grado di operare facilmente e in economia in questo senso per poter garantire a tutti il diritto di voto, piuttosto che per poter fare sondaggi diretti di interesse pubblico e di pubblico dominio tra Stato e cittadini. Decine, centinaia di case history dimostrano sulla base dell’esperienza che si può fare ma da noi questo è un problema. Capire come si fa serve ad evitare per tempo che qualcuno (che abbia peso e possibilità) lo faccia davvero e isolare i partigiani digitali di oggi serve a parare su rigore la libertà popolare di poter esprimere facilmente la propria previsione o preferenza senza l’intermediazione di nessuno e soprattutto in tempo reale, spendendo meno e potendo monitorare l’andamento delle proprie scelte stando seduto in un posto a caso del mondo… Ma poi, intendiamoci, ci serve davvero di farci dire, prima che accada, per chi voteremo alle primarie? In fondo lo sappiamo. Noi sappiamo già per chi abbiamo intenzione di votare alle primarie. A chi interessa la qualità di questa informazione? E’ una risposta che incide in qualche modo sulla nostra scelta soggettiva? No, o almeno non dovrebbe. E allora? E allora in fondo il vero mood è fare in modo che un sondaggio ci interessi, che canalizzi la nostra curiosità: che gli occhi vadano poi in seconda serata alla bacchetta di Vespa tra un plastico e l’altro o ai più colorati e vivaci cartelli di Floris è uguale. In entrambi i casi si sfama qualche azienda, si fa audience televisivo, si danno contenuti a qualche trasmissione che approfitta delle coppie in crisi per essere guardata, si parla di qualcosa e si tiene calda l’attesa stimolando un dibattito che, gira gira, non è mai sulle questioni, sui contenuti, sulle soluzioni, sui rimedi, sulle svolte epocali, sull’innovazione, sul futuro, sulle differenze, sulle rivoluzioni culturali, sugli asset. Se andassimo a votare tenendo spenta la tv, sia prima che dopo, non noteremmo alcuna differenza.Io vivo a Roma, il centro dell’impero politico di tutti i tempi della nostra storia antica e moderna e da sempre mi occupo a vario titolo di associazionismo, di impegno civico, di politica. Questi sono periodi in cui, oltre alla colla di cui sopra impastata ad 11 manifesti (che non legge più nessuno) caduti in terra e appiccicati l’uno sull’altro, la capitale si tinge di eventi folcloristico-istituzionali volti alla Sagra del Partito. E’ una maratona perfetta su quello che gli altri non hanno fatto fino a ieri; sulle colpe di chi c’era e di chi no; sulle conseguenze sempre dovute a ciò che stiamo ereditando perché qualcuno prima rubava; sui libri scritti ad hoc nel tentativo di essere più originali evitando il solito manifesto e rimangiandosi ciò che per anni si è promosso e incentivato in prima persona; sui movimenti sorti spontaneamente e finanziati dalla Comunità europea con improbabili “intenti culturali” che in realtà tessono prestigiose trame sulle prossime, future, imminenti spartizioni di potere; su ciò che siamo stati; su chi barerà per vincere le elezioni, cambiando gli statuti, chiedendo aiuto alla mafia, o annullando qualche tesserina tra uno scatolone e l’altro… Vi garantisco che potreste andare ovunque e ascoltereste ovunque le stesse cose. Zero proposte, zero soluzioni, zero futuro: nessuno che racconti alla platea cosa vuole fare e come intende farlo. I più forti di concetto sono i più deboli d’effetto. A casaccio contano ormai di più le singole parole (“Cambiamento”, “Giovani e donne”, “Adesso”, “E’ ora”, “Innovazione”, “W L’Italia”… e così via) che non le argomentazioni di contenuto vere e proprie. E’ scomparsa la futuribilità immenente delle azioni manifestate da intenzioni ed è rimasta la campagna emotiva dello slogan che (incredibilmente dico io) richiama l’applauso mediocre di chi si accontenta del premio di consolazione, di chi non si avvicina neanche a chiedere, a pretendere di capire perché questo straordinario Paese è vittima di pensieri sciacalli e di idee deboli, impoverite nella sostanza, azzoppate nella coscienza e dimezzate nella ragione. Hai voglia a fare eventi di StartUp…!
Purtroppo questa è l’Italia degli italiani che, senza battere ciglio, votano per anni un partito che in 1 giorno scompare, quella che crede che tanto non si può cambiare nulla e quindi si astiene rendendo paradossalmente prezioso perfino il voto della vecchietta che internet non farà neanche in tempo a vederlo da lontano, ma che semmai a votare “ci tiene” per l’antica tradizione del diritto acquisito che si usa perché lo si ha. Che cosa potrà votare la vecchietta (che non vede né i sondaggi né i risultati) in un Paese con il 75% di popolazione anziana? Mah… Le donne votano da appena poco meno di 70 anni – ricordiamocelo – e ancora oggi il numero delle donne in Italia in valore assoluto è superiore a quello degli uomini. Fatevi due conti: per assurdo, da sole potrebbero eleggere un governo, potrebbero cambiare le critiche sorti demografiche dell’Italia (e invece hanno smesso di fare le madri), potrebbero eleggere ovunque tutte le donne che vogliono in qualunque posto (e invece per lo più sponsorizzano loro stesse gli uomini)… Eppure non è così perché – in media – le donne stanno a se stesse come gli italiani stanno all’Italia. Troppo spesso delegano le colpe e si appiccicano etichette. “Noi donne si funziona un po’ come i sondaggi” – direbbero in Toscana – e come il voto all’antica: la moda e il fashion pilotano lo sguardo e il potere mediatico del brand e dell’industria mette mano al portafoglio. Due sere fa, ascoltavo una conversazione tra due donne della mia età tutta intrappolata nelle ingannevoli trame della ragnatela occidentale dell’emancipazione, dell’indipendenza, del dominio sui propri uomini, del premio in denaro, dei diritti, del vittimismo e dell’uguaglianza, del matrimonio no, ecc… però il conto lo pagano sempre i maschi.
Penso al film di Muccino che ieri sera davano in prima serata su Rete 4 “La ricerca della felicità” con Will Smith, che bello! Che straordinario inno alla vita, alle cose davvero importanti, ai sogni, alla determinazione fatta di qualità, contenuti e volontà, alle scelte e alla forza colte dalla Provvidenza, all’amore per un figlio che va perennemente difeso dal qualunquismo e dall’ovvietà di questo mondo troppo spesso arreso davanti a sé: la storia vera di un padre che dal cesso di un metrò diventa milionario realizzando il sogno di una vita, spinto dall’amore, dalla fede, dalla gioia quotidianamente scoperta negli occhi di un bambino, contro la disperazione, senza mai perdere la speranza, senza mai dimenticare dove si va, su cosa si cammina…
Ecco, anche per oggi ho avuto modo di dispensare il mio “predicozzo” del giorno a chi si annoia a leggermi non superando mai la terza riga.Il fatto vero è che siamo noi a rendere ogni cosa complicata e che siamo noi a non volerla mai abbastanza. Potremmo cambiare il mondo se solo lo volessimo davvero, perché questo mondo (tutto quanto) è frutto delle nostre azioni e della nostra volontà, che potrebbe essere diversa; potremmo fare contenti tutti se solo imparassimo a vivere di ciò di cui abbiamo veramente bisogno; potremmo in molti casi lavorare meno se lavorassimo meglio e imparare a divertirci stando a casa con la nostra famiglia invece di rincorrere sempre quella sensazione amorfa che a molti fa credere che il divertimento sia altrove; potremmo lamentarci di meno e adoperarci di più in prima persona; potremmo non accontentarci di avere così poca cura dei nostri sogni, invece di passare il tempo a denigrare quelli degli altri… e potremmo allora perfino scoprire di farcela davvero.

Matteo 19, 30

“Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi.”

Operare ogni giorno della nostra vita in ciò che accade per fare in modo che sia “diverso” se non va bene per com’è non è solo nostro diritto ma è soprattutto un nostro dovere. Non vi accontentate di guardare il mondo che non vi piace. Impegnatevi a tentare di cambiarlo.

Marco 9, 23

“Tutto è possibile per chi crede.”

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