"Zono Evanz, vengo di Nigeria"… e vado in Baradizo.

Esco a fare due passi. In realtà dovrei andare a pranzo con mio padre. Non ci vediamo da un po’, è una buona occasione. Salta il pranzo e io ci rimango male perché penso sempre che stia dando priorità alle cose sbagliate. Mi innervosisco, poi mi ricordo che lo conosco bene da tanti anni e che è mio padre e mi incammino in direzione divergente. Me ne vado bofonchiando. Sbuffo e mi agito (sono femmina)…
E’ venerdì, niente carne, niente abbuffi, nessuna porcheria. Pensando disordinatamente a questa piccola burrasca, cammino verso il fondo di Viale Europa dove un gruppetto di ragazzi giovani prepara centrifugati, macedonie, frullati, cose così insomma, cristiane, pasquali. Perfetto. Mentre passeggio con un passo da top gun, mi squilla il cellulare. E’ Marco. Non avendo niente di meglio da fare, sul momento me la prendo anche con lui, tanto è gratis. Sembro Titti  quando fa i dispetti a Silvestro che in fondo vorrebbe solo essere… un gatto, comunque… Arrivo a destinazione, mangio velocemente un piattino di farro (perché ho fretta di tornare indietro camminando per farmela passare), prendo un caffè (quindi non mi passa niente), pago, rimetto le sopracciglia in posa iraconda, mi faccio tornare le rughe sulla fronte, metto le mani in tasca stile vigile urbano a riposo, fisso lo sguardo nel vuoto per non incrociare gli occhi di nessuno e, a posa pronta, esco.
“Zcuza”, cammino. “Zendi, zcuza”, continuo a camminare. “Zendi, zcuza, me dare gualghe sbiggio?”, continuo a camminare ma rallento. Il passo si accorcia, le sopracciglia si rilassano, le rughe scompaiono a prova di lifting, la mente riposa… “Zendi, zcuza, me dare gualghe sbiggio? Bbeffavore…”. Vende calzini, strofinacci e qualche fazzoletto, Evans. Indossa un giubbotto scuro e un berretto rosso. Porta in spalla una sacca di tela che sembra pesante, piena di non so cosa, è nero, è nigeriano Evans. Mi guarda, mi cammina affianco e tiene la mano aperta per gualghe sbiggio. Mi sorride con occhi piccoli ma brillanti e ripete “zcuza” continuamente…
Comincio col dire “No guarda, siete troppi…” e lui mi risponde “Bbeffavore”. Continuo dicendo “Non ho niente da darti, mi dispiace…” e lui mi risponde “Bbeffavore, scuza”. Tento l’ultima prova “Guarda, vado di corsa…” e lui mi risponde “Bbeffavore, scuza”. Stessi occhi, stessa mano, stesso peso sulla spalla. Mento sapendo di mentire e lo guardo: mi ripeto che qualcosa avrei e che in fondo non vado poi così di corsa. Prego sapendo di mentire e lo guardo: mi ripeto che Cristo è lì, su quel marciapiede accanto a me e che io lo sto scambiando per un nero nigeriano che vende calzini. Lavoro sapendo di mentire e lo guardo:  in fondo non serve il mio lavoro se tutto è per me, in fondo è proprio quello che davvero può aspettare. Dormo sapendo di mentire e lo guardo: penso al mio cuscino morbido, a quel letto caldo e al termosifone acceso, che lui forse non ha. Mi piango addosso a volte, sapendo di mentire…Mi fermo di botto, mi volto, lo guardo negli occhi e gli chiedo “Hai mangiato? Perché io soldi non te ne do, ma se vuoi ti compro un panino…” e lui si illumina. Spalanca la bocca con un sorriso per taglie forti (ha dei denti che con tutto quel nero attorno sembrano ancora più bianchi) mi risponde “Zi! Magari! Scuza, grazie!”. Tutta quella gioia per un panino che a me sembrava quasi uno spreco (per così poco) esalta anche me. Mi torna il sorriso, mi scordo tutto. Sembriamo due scemi, ma dobbiamo essere davvero belli. La gente ci guarda con sospetto, in qualche caso si direbbe un po’ schifata, ma ci guarda.IO     “Come ti chiami?”
LUI   “Evans”
IO     “Evans?”
LUI   “Zi, Evans. In idajano zarebbe Ivano. Ghe du no parli ingleze? Nossai che Evans è Ivano?”
IO      “Eh! Si si come no, certo, è Ivano”
LUI    “Zendi, scuza, grazie, scuza, bbeffavore…”
IO      “Ok Evans, basta chiedere scusa dai, andiamo. Compriamo un panino e una bottiglietta d’acqua. Avrai anche sete, no?”
LUI    “Zi, fame e zede…”
IO      “Come lo vuoi il panino?” (domanda idiota)
LUI    “Un banino va bene…” (risposta esatta)

IO      “Allora facciamo due passi fino a laggiù che c’è un bar che fa panini buonissimi!” (anche questa non è che sia stata una grande intuizione visto che Evans cammina da un pezzo probabilmente…)

LUI    “Zi, va bene…” (“Guesta è scema”, avrà pensato… Risposta da chi è abituato a non dire mai di no e questo per un attimo fa scorrere nella mia mente tante immagini di racket, di sfruttamento e povertà)

Arriviamo a destinazione in 5 minuti. Evans guarda il bar da fuori. Io lo invito ad entrare ma lui cerca di sporgersi soltanto per scegliere un panino da lontano. Probabilmente sa o si aspetta di non essere gradito. Conosce la zona e sanno cosa fa, non vogliono che disturbi i clienti del bar. Alla fine lo convinco “Non ti preoccupare, sei con me, entra” gli dico. Poggia le sue cose su uno sgabello fuori dal vetro, lascia le calze e i fazzoletti sul tavolo ed entra. Guarda il vetro dei panini come un bambino guarda le caramelle a ciuccio in Autogrill. Ne sceglie uno bello grande col pane morbido a treccia, ripieno di insalata, pomodoro e tonno. “Brendo guello! Me biasce dando el donno!”. Tutta quella gioia per un panino è la prima grazia di una giornata iniziata un po’ così“Ok, torna fuori a controllare le tue cose e siediti. Te lo porto io.”. Mi guardava da fuori tutto contento, io lo vedevo dallo specchio alle spalle del bancone del bar. E’ quasi Pasqua e il suo viso pieno di denti sembrava davvero un grande uovo di cioccolato, con tanti confetti al centro (…i denti, appunto). Accanto a me, due signori bisticciavano su chi c’era prima ad aspettare il caffè, ma la grande festa di Evans mi incantava. Per un attimo è sparito il mondo intorno a me.
Pago, recupero acqua e panino ed esco. Con una infinita serie di “zcuza”, “grazie” e “bbeffavore” spalanca il sorriso (io non credevo che sarebbe riuscito ad aprire la bocca ancora più di così, eppure…) e con lo sguardo lanciato sul tonno ben nascosto nel pane si avventura con un morso vorace ma garbato alla ricerca della fame perduta.

Mi rendo conto di non avere fretta e intercetto la mia nuova occasione per un’altra grazia in quell’incontro, così resto con lui, gli faccio compagnia mentre mangia contento e mi sorride ogni volta che può, continuando a dirmi “zcuza”“grazie”, anche mentre mastica.

IO      “Allora Evans, di dove sei?”
LUI    “Vengo di Nigeria”

IO      “E da quanto sei a Roma?”

LUI    “Da 2008. Brima ztavo alle marche e boi venudo qua. Roma bella, meglio di marche perché poi c’è Bapa e tante chiese.”
IO      “E fai solo questo qui per vivere?” (altra domanda idiota)
LUI    “Eh, zi! E ghe bosso fare altro? No ho studiato e no so fare niente…” (risposta esatta)
IO      “Sei solo a Roma?”
LUI    “Zi, berò ho dandi fradelli in Nigeria! E uno a Canada ghe lavora, è sposado e ha fatto fillio bello”

IO      “Ho capito… e non torni mai in Nigeria dalla tua famiglia? Quando sei stato l’ultima volta?”
LUI    “Noooo, no bosso. La mia madre è morta mese scorzo, ma io no ho potuto andare… e poi c’è sembre guerra a Nigeria, meglio gui. Gui c’è Baba e io sono cattolico…”
IO      “Allora ti piaceva questo Papa!”
LUI    “Zi, berò adesso è sgabbato!”
IO      “No, non è scappato il Papa! Chi ti ha detto che è scappato?”
LUI    “Io sendido ghe dicono la gente che il Baba è sgabbato…”
IO      “No, Evans, la gente lo dice perché non sa di che parlare.”
LUI    “Allora no è sgabbato! Meno male…”
IO      “Quante ore lavori al giorno?”
LUI    “Vengo a mattina in dreno da Nettuno che io abita li e alle 4 di pomiriggio vado via…”

Mi racconta che qui sta bene perché riesce a sopravvivere con quello che fa e che è molto dispiaciuto per i suoi amici che muoiono ogni giorno per la guerra e per i tanti cristiani che, se non vanno via, vengono perseguitati e uccisi.
Evans finisce di mangiare mentre mi racconta tante cose. Gli piace parlare, si gusta quel momento, si vede. E’ contento di non essere scansato o allontanato. E’ vivo Evans. E’ un essere umano anche lui. Riprende in groppa la sua roba e mentre ce ne andiamo come due vecchi amici scherzando sul marciapiede, mi chiede come mi chiamo. “Giorgia!” gli rispondo. “Ah! Ghe bel nome! Giorgia! Zcuza, grazie… Ciao!”.

Le nostre strade si dividono al semaforo. Io vado dritta, lui gira a sinistra. Entrambi torniamo a lavorare, entrambi siamo cristiani, entrambi siamo esseri umani, entrambi abbiamo amato questo Baba, entrambi abbiamo mangiato, discusso e riso. Solo che lui andrà in Paradiso, io forse no. Di chi è davvero il Paradiso?

Cristiani bruciati vivi in Nigeria. Facebook censura l’immagine.
Abbiamo ricevuto questa atroce foto insieme alla denuncia del padre spagnolo Juan Carlos Martos cmf, presso il Segretariato missionari clarettiani, Viale Sacro Cuore di Maria, Roma. La denuncia è in francese. Ci limitiamo a tradurla.

«Dove sono gli organismi difensori dei diritti dell’uomo? Cristiani bruciati vivi in Nigeria: un olocausto mostruoso nella indifferenza internazionale. Pubblicando questo impressionante documento grafico su Facebook, volevo denunciare pubblicamente sul piano internazionale certi avvenimenti mostruosi, completamente ridotti al silenzio dai media di comunicazione di massa; un vero genocidio di cui i cristiani in Nigeria soffrono da oltre dieci anni, tanto mostruoso e brutale da essere comparabile agli episodi più odiosi dei campi di sterminio nazisti.
Con mia grande sorpresa, Facebook mi critica: conformemente alla sua politica di sicurezza in quanto rete «sociale», la fotografia è stata classificata come materiale «pornografico», «violento o inappropriato», per questo motivo mi vieta di caricare una qualunque immagine per una settimana.»
    (tratto dal sito Effedieffe.com)

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