La nascita di Carla: il pianto della vita.

di Carla Mauro

Ogni tanto, da due anni, qualche paziente entra in studio con un sorriso strano, come se stesse trattenendo chissà quale segreto  e stesse cercando nella sua mente le parole giuste per rivelarlo…
“Dottoressa, l’ho vista ieri notte..?” “Si??” “Era lei che salvava la bambina?” “Quale bambina?” “Quella neonata in Africa…” Cedo subito e confermo. “ Si, ero io, ma è successo nel 2010”.
Sì perché la televisione si appropria di un momento e lo cristallizza in un tempo sempre attuale, solo a volte ricontestualizzandolo  in modo giusto. Colgo l’occasione per raccontare la storia così come è stata vissuta.

Nel 2008 Magic Amor riceve in dono otto container  che possono diventare un centro chirurgico con una sala operatoria doppia e una di rianimazione di sei posti. Per poterli trasportare e metterli al servizio della popolazione del Congo  individua una Ong (Soleterre) che possa collaborare nella ricerca dei fondi. Quando l’Ong trova un grande potenziale finanziatore (Mediafriends), però, decide che la piccola Magic Amor va tenuta nascosta, nonostante abbia  ideato il progetto, trovato il partner locale (le Suore di San Giuseppe di Genoni) e sia, tra le due associazioni, l’unica che abbia lavorato in Congo (per ben sette anni).

Lotto come una tigre, io che sono vegetariana e pacifista, pur di ottenere il diritto di partecipare alla missione con le Iene e non per ottenere  visibilità personale, ma per un diritto legittimo della Magic Amor ad esserci. Ma durante quei giorni ero triste, non era la mia Africa, lo spettacolo delle telecamere curiose di filmare gli aspetti più teatrali della vita non mi apparteneva.
Poi la richiesta: “Dottoressa, vorremmo filmare un parto…”, “Un parto semplice, solo con il consenso della puerpera, naturalmente!”, rispondo.

Il parto lo avrebbe seguito Suor Maria, ha fatto nascere decine di migliaia di bambini nei suoi 54 anni d’Africa, e segue il centro di Zongo da una ventina d’anni. Nonostante l’età è ancora efficientissima a livello fisico, mentale e spirituale.
La signora  è  già al quarto figlio, la posizione della testa è cefalica, la dilatazione avanzata e non ha problemi che sulla porta della minuscola sala parto (un letto ginecologico vetusto, un tavolino di legno sul fondo, una bacinella e due secchi d’acqua), ci sia qualcuno a filmare la nascita del bimbo.

“La mortalità materna del Congo è una delle più alte in tutto il mondo,  una donna su 30 morirà di parto nel corso della vita (in Italia 1 su 4700). La mortalità infantile è di 77 bambini su 1000 (in Italia 6 su 1000)”… snocciolo i dati davanti all’operatore che sta sulla porta e che ogni tanto filma la Suora che sollecita la puerpera a prendere aria e spingere.

E’ passata un’ora, mi affaccio anch’io nella stanza e Suor Maria, a bassa voce, mi dice che ci sono problemi, che necessita di un aiuto. Comunico che essendo sorte delle difficoltà preferiamo chiudere la porta e seguire il parto da sole. La riapriremo quando sarà arrivato il momento finale.

Il bimbo è incastrato nel canale del parto, la grande testina non si è ancora girata, la madre non vuole collaborare, non spinge e continua a parlare di qualche misterioso maleficio che la famiglia di lui ha fatto su questa nuova vita.

Parlo un po’ il Lingala, la lingua locale, incoraggio la madre, aiuto Suor Maria soprattutto nella spinta meccanica del feto mentre l’utero si contrae e lei riesce con molta pazienza a ruotare la testina. Ogni centimetro che facciamo per spingere in avanti è una conquista, contrastata però da una risalita nella fase di decontrazione. Si va avanti lentamente, il tempo passa, ma quel mucchietto di capelli neri è ormai affacciato sul perineo.

“Potete venire, sta per nascere”. Si riapre la porta pronti ad accogliere la nuova vita. Ormai sudata, ma felice, aiuto nell’ultima spinta e…. “Eccola!!!” “Moassi!! (Femmina)”  Una bella bambina, ma il sorriso si spegne presto nel viso di suor Maria e nel mio. La bimba non piange, è un corpo inanimato. Suor Maria aspira il muco con una pompetta di plastica poi riempie i polmoni attraverso il velo… ora però la adagia sul tavolino  e sembra in attesa. Devo intervenire… Si, l’ho studiata la rianimazione cardio polmonare nel neonato! E sono stata anche tre anni in prima infanzia, ma  non mi è mai capitato di dover rianimare un bambino.

“Solo due dita sul tuo cuoricino fermo, ad  imprimere sul tuo cuore il ritmo della vita, il nostro soffio a gonfiare il tuoi polmoni inerti.  Muana kitoko, muana na ngai (bimba bella, bimba mia)” cerco di farti coraggio, bambolina di pezza inanimata tra le mie braccia! “Dio, ti prego, non permettere che finisca così, aiutala …”  Le telecamere sono andate via, hanno compreso la gravità della situazione, ma non mi arrendo, “muana kitoko, muana na ngai”, quanti minuti sono passati, ancora un soffio, ora a testa in giù ma sempre con le mie dita sul tuo cuoricino. Poi il momento più bello della mia vita, quello che da solo vale la visione dell’immenso… un piccolo sospiro, non ancora un vagito, ma già le tue braccia si fanno più forti ed io ora ti pizzico i piedini per incoraggiarti a piangere. Piangi piccina, piangi… riempi i tuoi polmoni, non ti stancare, è il pianto della vita

La bimba è salva, era lei lo scopo del viaggio, lei il senso della mia presenza a Zongo.

La mamma mi chiede il mio nome, capisco e le dico che ho tutti i nomi che lei ha nel cuore, ma l’indomani, quando vado a visitare la bimba la mamma la presenta con orgoglio: il suo nome è Carla! Forse è stato lo Spirito, più probabilmente Suor Maria, ma il nostro legame è suggellato anche dal nome.

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