di Giorgia Petrini
La ragione è un mezzo, non un fine. Non si può, con la sola ragione, dire a una donna per quale motivo non deve abortire. Non si può convincere un’altra persona, con la sola ragione, a non essere in favore della pena di morte. Non si può spiegare a un altro, con la sola ragione, perché l’eutanasia (sui minori o meno poco importa) non va bene, o per quale motivo l’ingresso delle teorie sul gender nelle scuole è una forma di dittatura. Non si può per tanti motivi, ma quello principale è che paradossalmente tutti abbiamo ragionevolmente ragione, e tutti abbiamo moralmente torto, sulla base della sola ragione. La donna che abortisce lo fa perché magari non ha un lavoro ed è rimasta in cinta al mare. Dal suo punto di vista, ha ragione, perché serve un altro dio. Quello in favore della pena di morte lo è perché pensa che gli altri vadano ricambiati con la stessa misura con la quale hanno vissuto, e magari ucciso. Dal suo punto di vista ha ragione anche lui, perché anche lui serve un altro dio. Chi è favorevole all’eutanasia ti risponde che non può mantenere un anziano in casa (che soffra o meno è sempre meno rilevante) finché non muore, o che fa un favore a un figlio che nasce con qualche patologia (anche minima), facendolo morire. Chi crede che le teorie sul gender imposte ai bambini facciano bene alla loro crescita, ti spiega che è bene che imparino presto, che sappiano tutto, che il mondo si è evoluto, e tante altre pere del genere. E, dal loro punto di vista, anche questi hanno ragione, perché anche loro servono un altro dio. Ognuno di questi, in fondo, risponde al proprio dio: denaro, lussuria, invidia, orgoglio, superbia, onnipotenza, perfino la ragione può diventare una schiavitù …guarda l’Illuminismo! Ancora oggi, siamo tutti, molto spesso, schiavi della nostra, presunta o meno, intelligenza. Figurarsi quando mai potrebbe essere un fine, triste meta in questo caso. Del resto, se fossero bastati il buon senso e la ragione, Cristo non sarebbe morto sulla croce e questo dibattito non durerebbe da 2.000 anni, passando ciclicamente per gli stessi temi, per gli stessi errori, per gli stessi ravvedimenti. Ragionevolmente tutti sappiamo che era innocente, eppure ancora troviamo un motivo per non essere d’accordo su quasi tutto quello che lo riguarda. La gente (compresi gli atei) non discute sul fatto che Gesù avesse o meno qualche colpa, ma che fosse davvero il figlio di Dio. Quasi a dire che, in fondo, di innocenti ne ammazziamo tanti da secoli; uno più, uno meno, non è questo il problema. Il problema è capire chi era veramente Gesù. E già così abbiamo condonato l’omicidio.
Il tempo passa, ma il problema rimane lo stesso e se il punto di vista è soggettivo (mio, tuo, suo o nostro) non c’è alcuna possibilità che le mie ragioni, fine a se stesse, trovino un accordo con quelle di un altro, neppure se gliele spiego in quattro lingue, cosicché l’utero in affitto di una donna all’altro capo del mondo per me è sfruttamento e per un altro è beneficenza. Il vero problema, come scrive Baruc, è che “…abbiamo abbandonato la fonte della sapienza!”. Se avessimo camminato nei sentieri di Dio, saremmo vissuti sempre in pace. Anche di questo, passando anche per la ragione, scrivo nel mio secondo libro. Ma la ragione non basta e rimane un mezzo, non un fine. Ecco perché io credo che questo non sia un tempo di ragioni, ma di ravvedimenti. Ecco perché se non si conosce Dio non è possibile ravvedersi da nulla, o quasi. Ecco perché se non si torna all’unico punto di vista possibile (che non è mai il nostro) non avremo acqua e non potremo dissetarci. Ecco perché se non torniamo alla fonte della sapienza, alle istruzioni per la vita, non ritroveremo mai la strada. Ecco perché la ragione chiede, ma non risponde. Interroga e accompagna, ma non guida.
Credo che questo non sia un tempo nel quale “vendere diversamente” un dubbio o una ragione. Credo che questo sia un tempo nel quale tornare a ricapitolare le cose in Cristo senza doverle spiegare a chi ci osserva. Io credo perché ho visto, ho toccato, ho vissuto e conosciuto ciò di cui parlo e scrivo. Non perché qualcuno mi ha convinta di un buon senso diverso dal mio. Non si può parlare di ciò che è di Dio, senza Dio. Il mistero della croce non si spiega. Si accoglie, si vive e, quando è vero, si manifesta. C’è poco da vendere. “Basta” essere testimoni viventi del fatto che la vita con Dio o senza Dio non è la stessa cosa. Da questo dobbiamo ripartire, a mio avviso, non dalla ragione.
Che me ne faccio di “convincerti” che l’embrione è un essere umano (in fondo al cuore lo sai anche tu), se non riesco a mostrarti vivendo che miracolo è la vita? Alla prima occasione, all’occorrenza e servendo una ragione o l’altra, abortirai lo stesso. Questo è il problema e nel problema c’è la soluzione. Possiamo vivere, e dunque anche morire, solo in Grazia di Dio.