di Giorgia Petrini
Mentre preparo una trama su donne, natura e creato che proverà ad avere un senso per l’incontro del 20 Maggio, mi capita sotto gli occhi una “novità” che, oltre a sapere di minestra riscaldata, rende semplicemente evidente una logica conseguenza: l’accordo delle forze politiche sul ddl relativo al divorzio breve.
Il quadro separatista, iniziato con l’antropocentrismo di Socrate e i sofisti nel V secolo a. C., che dalla centralità dell’universo si sposta alla centralità dell’uomo, ormai è palese nella vita di ogni giorno. Nonostante, molto più tardi, il “povero” San Tommaso tenti di erigere la visione dell’uomo alla più nobile tra le creature di Dio, in quanto dotata di intelletto, ovvero capace in potenza di essere responsabile nella scelta tra il bene e il male, nel 2014 non conta più chiedersi se nella nostra vita (che, sebbene ci si ritenga sempre innocui, comprende quella di molti altri) qualcosa ha un senso, anche per gli altri, oppure no. Il centro della riflessione, come è già successo più volte nella storia dell’umanità, non è su cosa siano il bene e il male, e su quale debba essere il centro dell’agire, ma su cosa vogliono i singoli uomini, il cui numero si riduce in favore di una sempre più ristretta categoria di persone e di interessi. Sentirli parlare di “bene comune”, oltre che essere una contraddizione in termini, è un’evidente bugia, ontologicamente manifesta nella realtà dei poveri, vecchi e nuovi. Mentre io scrivo, come ci raccontava lo scorso sabato Mario Polia, “non più di 16 persone detengono la ricchezza dell’intero pianeta”, nel tentativo di convincere il resto del mondo che Il Problema sia controllare le nascite, avere più meriti propri, produrre di più, esportare, espatriare, scioperare, costruire più case, cambiare governo, estinguere un mutuo, far girare l’economia o uscire dall’euro. Quanto al divorzio, tanto meglio. Più è precaria, incerta, divisa e corrotta, la condizione – anche affettiva – degli esseri umani che tra loro, grazie alla solidarietà, all’amore, alla cooperazione, alla famiglia e alla solidità, rischiano di diventare più forti, prosperosi, uniti e autonomi, nel senso buono del termine, e meglio si demolisce il singolo individuo, sebbene oggi sia tanto certo di non avere più bisogno di nessuno (povero illuso).
Salto in avanti e torno, con ciò, “grazie” a questa notizia di oggi sul divorzio breve, a fare qualche riflessione sul tema dei divorziati risposati e dell’accesso ai sacramenti. La mia posizione a riguardo è certamente diversa da quella di Walter Kasper. Conta molto meno, certo, ma credo si avvalga di una verità evangelica incontrovertibile che è incisa nelle parole di Cristo, prima ancora che nei nostri cuori, e il passo di oggi lo conferma: “A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”, Matteo 16, 19. Kasper, al tempo, non c’era ancora. Gesù parlava a Pietro, al quale consegnava l’edificazione della chiesa.
Nel divorzio breve, tanto per essere chiari, non c’è nessuna buona notizia. Per la verità, il divorzio in sé era già una cattiva notizia e, ad essere precisi, è breve da sempre. Ciò che non è breve tra essere sposati o non esserlo più è la separazione. Anche grazie a una fedele e buona battaglia della chiesa cattolica, che nemmeno ai tempi del divorzio perse di mira il discernimento in questo senso, prima di divorziare servono tre anni di separazione (legale). In questi tre anni – per chi crede -, “Nulla è impossibile a Dio” (Luca 1, 37) oppure – per chi non crede – “Tutto può succedere” (Nancy Meyers), ma in sostanza (vale per tutti) ci si può ricredere, si ha il tempo di pentirsi, ci si può perdonare, si può decidere di tornare insieme e tante altre belle cose, oppure si può scegliere di confermare la separazione “definitiva” e, allo scadere dell’ultimo giorno del terzo anno, si può divorziare senza attendere nient’altro. Quindi, per fare ordine, il divorzio era ed è breve ancora oggi. Addirittura, trascorsi i famigerati tre anni, basta la firma di uno dei due per divorziare, neanche di entrambi. Questo è come spesso facciamo le cose noi, non è come le fa Dio (eterne, indissolubili e tutte quelle “menate” lì che a noi cattoliconi piacciono tanto).
Ora, è chiaro che ridurre i tempi di questa separazione propedeutica al divorzio da 3 anni a 12 mesi, e in caso di comune accordo addirittura a 6 mesi, tutto è meno che aiutare due sposi a “rifarsi una vita” o a tentare di tenere insieme quella che hanno già (l’unica che il Signore ci concede da queste parti, per la verità). Men che mai, penso io, questa ipotesi aiuterà la chiesa a sostenere la tesi kasperiana della comunione ai divorziati risposati. Del resto, se – potendo divorziare ogni 6 mesi – mi posso sposare una volta l’anno, e magari lo faccio anche, anziché attendere l’esito di un procedimento rotale e chiedere lume a Dio, più che ambire alla sua misericordia o desiderare di essere aiutato, forse ho altre priorità. E, come sappiamo bene, perché la conosciamo per esperienza, la misericordia di Dio “è un’altra cosa”.
Per me questo potrebbe rappresentare, per coloro che avessero ancora dei dubbi sull’argomento, un serio passo avanti sul falso tema dei divorziati risposati e del diverso approccio alle coppie di fatto. Il matrimonio cristiano, grazie a Dio, è un sacramento (indissolubile) ben più grande e misterioso di ciò che può sembrare al nostro modo terreno di confondere la misericordia col buonismo e la roccia con la sabbia. Il Papa ha chiesto ai vescovi di esprimersi nei prossimi due Sinodi anche su questo argomento, ma la posizione del magistero su questo punto, ad oggi, rimane la stessa. E, anche se a me personalmente non mi conviene, cosa che dovrebbe spersonalizzare la mia opinione, io continuo a chiedere allo Spirito Santo che il Papa – e la chiesa tutta – continui ad occuparsi del nostro bene, secondo Dio e non secondo il mondo.
A questo punto, voi direte: si, va beh, ma che c’entrava il “pippolotto” sull’antropocentrismo socratico e quei 16 paraculi ricchi sparsi per il pianeta? Era un modo, tra i tanti, per dire che c’è qualcos’altro oltre noi stessi che parla al nostro cuore: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono coloro che entrano per essa.” Matteo 7, 13. Non sempre quello che noi vogliamo, capiamo o desideriamo ardentemente, è sicuramente il nostro bene. E men che mai le nostre scelte riguardano soltanto noi.
Ormai da parecchio tempo, io spero sempre di camminare verso il Cielo, ma poi, se uno proprio insiste, è libero di passeggiare tutta la vita dove vuole. L’universo, dicono, è sconfinato.
1 commento su “Il divorzio breve c’è sempre stato.”