L’uomo che divenne Peter Pan.

di Massimo Camussi, 7 Ottobre 2014

Gian Paolo Montini ha cambiato la sua strada professionale e umana: da un “prima” fatto di carriera e sicurezze ad un “dopo”, che all’inizio è promessa di qualcosa di ancora più bello e grande, ma ovviamente anche un rischio. La sua “sterzata” lo ha portato ad essere il direttore generale di Peter Pan ONLUS, associazione nata nel 1994, oggi punto di riferimento in tutta Italia per i servizi e l’ospitalità offerta a Roma ai giovani e giovanissimi malati oncologici. Peter Pan è un alloggio e un sostegno gratuito per i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Le tre case di Peter Pan si trovano tutte nel quartiere Trastevere, alle pendici del Gianicolo, a poche centinaia di metri dall’Ospedale Bambino Gesù: oggi ci sono 33 camere da letto a disposizione, e uno staff di duecento persone, quasi tutti volontari, che danno una mano dalla cucina all’animazione, dall’assistenza medica alla raccolta fondi.
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Gian Paolo Montini non “vola” con Peter Pan da subito. Nato a Roma nel 1964, diplomato perito elettronico e laureato in ingegneria, ha ancora oggi una grande passione per la meccanica e la tecnologia. Ma la passione per le relazioni umane arriva molto dopo. «Quando cominciai l’università – spiega Gian Paolo – ero ancora un ragazzo chiuso, fuori dal mondo, un nerd con il pallino delle motociclette». All’età di nove anni un ubriaco al volante piomba sull’auto guidata dalla madre. Lì dentro c’è Gian Paolo, insieme ad uno dei due fratelli. I bambini si salvano, la madre no. «Ci ha cresciuti mio padre, con grande impegno e amore, ma ho vissuto comunque la turbolenza degli anni settanta. Abitavo nella zona nord di Roma. Ho visto la lotta politica violenta, i compagni di scuola morire per l’eroina e per gli incidenti con le moto, il disincanto, la perdita del valore dell’amicizia».

A 19 anni, accompagnato da alcuni amici, Gian Paolo comincia a frequentare la parrocchia di Santa Chiara a Piazza Giochi Delfici. «Lì mi sono sentito accolto e non giudicato. Quella realtà senza dubbio mi ha cambiato».

Un’altra “curva” che cambia la vita al silenzioso Gian Paolo arriva durante le lezioni in facoltà, non lontano dalla chiesa di San Pietro in Vincoli. Là vicino, in Via dei Serpenti, c’è un centro gestito dal Tribunale dei minori in collaborazione con la Caritas diocesana, che accoglie giovani con gravi disagi familiari e problemi con la giustizia. Un’amica di Gian Paolo, desiderosa di fare volontariato, gli chiede di accompagnarla. «Appena entrata varcata la porta del centro di accoglienza, vedemmo due ragazzi con il coltello che minacciavano un altro più piccolo, sbattuto a terra. Vedemmo un’operatrice Caritas alta (si fa per dire) un metro e quaranta dividere quei tre in due secondi, ristabilendo l’ordine. Io diventai amico di questa donna, e dopo poche settimane le chiesi di diventare anch’io volontario: li potevo aiutare negli orari al di fuori delle lezioni e dello studio. Lei accettò, ed io non ho più smesso di fare servizio a bambini ed adolescenti».

Dopo la laurea Gian Paolo firma un contratto con la SIP, allora l’unica società italiana di telefonia, per la quale già lavorava come tecnico per le reti dati dei grandi clienti. Dopo un periodo di lavoro negli Stati Uniti comincia la carriera manageriale nell’azienda, che lo porta intorno ai quarant’anni nella direzione generale di Telecom Italia. Nel frattempo Gian Paolo continua a frequentare la comunità parrocchiale e lì conosce Chiara. «Ci presentò suo cugino, ma galeotto fu un campo estivo nel 1991 a Passo Ceneda, in Trentino».

Gian Paolo e Chiara si sposano il 4 giugno 1994. Dalla loro unione nascono due figlie, nel 1997 e nel 1998. Con una bella famiglia e una brillante carriera, Gian Paolo potrebbe sentirsi un uomo ormai “arrivato”, soddisfatto della vita. Ma così non è.

«Lavoravo tutto il giorno, poi nel tempo libero facevo il catechista ed il volontario. Ma questa bella “doppia vita” in fondo non mi piaceva. Mi bruciava dentro qualcosa. Volevo usare le mie competenze e le mie capacità al servizio esclusivo dei più deboli. Ne parlai con mia moglie Chiara, e ovviamente lei aveva già capito tutto, aveva già intuito i motivi della mia insoddisfazione. Mi incoraggiò a trovare una strada concreta e possibile per realizzare i miei desideri.»

Per un anno, nel 2005, Gian Paolo frequenta il sabato e la domenica un master in gestione delle organizzazioni non profit. «Uscito dal master avevo ormai maturato la scelta di cambiare vita e di diventare un manager della solidarietà. Così comiciai a guardarmi intorno».

Dopo non molto, l’occasione arriva, la “sterzata” definitiva diventa davvero possibile: l’associazione Peter Pan sta cercando un direttore generale, e un amico lo informa della selezione in atto. Gian Paolo già conosce bene questa realtà: Emanuele, il figlio di Maria Teresa Barracano Fasanelli, fondatrice di Peter Pan insieme a Gianna Leo, frequentava la parrocchia di Santa Chiara. Emanuele è morto nel 1993 a 23 anni, dopo dieci anni di coraggiosa lotta contro il cancro.

Gian Paolo piace ai membri del consiglio direttivo, e alla fine dei colloqui gli offrono il posto da direttore. Nel 2006 Peter Pan è già una bella realtà, con due case di accoglienza già attive. Ma per Gian Paolo lasciare il vecchio lavoro significherebbe un radicale taglio allo stipendio mensile, e un cambio inevitabile di tenore di vita per lui, sua moglie e le due figlie.

«I miei colleghi e i miei capi sapevano già come la pensavo, e si dimostrarono tutti assolutamente disponibili e comprensivi. Mi presi sei mesi di aspettativa e cominciai un periodo di prova nell’associazione. Al termine dei sei mesi ero ormai follemente innamorato di Peter Pan: potevo firmare la mia lettera di dimissione da Telecom Italia con il cuore sereno».

Per tagliare i costi e risparmiare il più possibile, si trasferisce per un periodo di tempo con la famiglia a casa dei suoi suoceri. Oggi, tornato con moglie e figlie in una casa tutta sua, Gian Paolo aiuta con la sua esperienza altre ONG e associazioni, e partecipa come relatore ad incontri di formazione pensati per chi come lui vuole fare della solidarietà l’attività principale nella vita. «Io stesso con Peter Pan sono cresciuto non solo umanamente, ma anche professionalmente. Qui ho imparato a fare direzione del personale, cosa che prima non avevo mai fatto, e mi sono aperto ad altre realtà sociali importanti. Per me il successo è il raggiungimento di un obiettivo a favore degli altri».

La realtà che vive oggi Gian Paolo è una realtà di bellezza, ma anche uno spazio abitato inevitabilmente dal dolore e dalla morte. «Certo, Lassù c’è chi mi aiuta a reggere i colpi, senza cadere nella disperazione e nel cinismo… Faccio però solo un’osservazione: è il mondo quell’inevitabile posto di dolore e di morte nel quale tutti siamo chiamati a vivere. Qui, come al pronto soccorso, si concentrano le situazioni di emergenza, ma il “cuore” di Peter Pan non è il dolore, non è la malattia, non è nemmeno il servizio di alloggio: il cuore di Peter Pan sono i bambini e i ragazzi. E allora se tu pensi ad un bambino, a cosa pensi? Pensi al sorriso, al gioco, al colore. La cosa incredibile è che per me oggi è difficile trovare fuori da Peter Pan una gioia di vivere così. Se il male è grosso e cattivo, il bene che tu esprimi deve essere altrettanto amplificato. E infatti ogni compleanno è una superfesta qui da Peter Pan

Fonte: immaginase.it

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