di Giorgia Petrini
Che i ricchi facciano figli mi pare una bella novità. Ho cambiato due licei pubblici in tempi in cui studiare sembrava (esattamente come oggi) meno importante che scioperare, autogestire e occupare le scuole. Le conseguenze – oggi, come in futuro – sono alla portata di tutti, con “evidenti risultati” di ogni tipo. Con grande sforzo, dedizione e amore dei miei genitori “normali” (al tempo, madre casalinga e padre impiegato), ho potuto diplomarmi al Collegio Nazareno (quando non era ancora la sede del PD e – insieme all’Istituo Massimo – era la migliore scuola di Roma), in mezzo ai figli, per lo più unici, di gente ricca. Peccando di superbia, posso osare: so quello che dico. Negli ultimi due anni di liceo, ho condiviso il corridoio della scuola con i figli di noti attori e cantanti, professionisti del calcio e del cinema, del giornalismo e del mondo dello spettacolo. Per me, gli anni del liceo sono stati quelli, gli ultimi due: ho un ricordo memorabile perfino dell’esame di maturità e del preside (il mitico Padre Rossi), venuto a mancare poco tempo fa. Non ho mai studiato tanto in vita mia e non ho mai desiderato tanto studiare quanto allora. Ma una cosa la ricordo bene: a cuore di molti genitori, il tipo di macchina da regalare a un figlio diciottenne era più importante del risultato scolastico; il tentativo di comprare il parere del Preside con un Rolex era più importante che motivare un figlio meno bravo a studiare di più; spendere una barca di soldi per scegliere “la location della festa per la maggiore età”, era più importante che risparmiare (?) dieci euro al mese per qualcuno, perché “ognuno ha i suoi problemi” mi rispose una volta un direttore di banca con un attico ai fori imperiali (non lo metto in dubbio, sarà anche vero per carità); non avere una villa di almeno 400 metri in cui abitare (due genitori e un figlio unico) era “stare stretti”…
I figli – tanti – li fanno i poveri. E’ così da sempre. Basta guardare le realtà demografiche del resto del mondo. Ci hanno sempre detto che in Africa, dove continuamente si muore di fame, di malaria e oggi anche di Ebola, “se ne fanno troppi” (che comunque crescono in un contesto comunitario sensibile e amorevole), eppure nessuno ci dice che in Belgio (patria dell’eutanasia a qualunque età) “meno sono, meglio vivono”. Del resto, sono ancora in pochi quelli che hanno veramente capito che la guerra da fare in questo tempo è quella all’individualismo, al nichilismo, all’egoismo, alla solitudine, alle comodità, all’economia, al capitalismo. Semplifico per farmi capire, ovviamente. Ricordo una bisnonna che in tempo di guerra ne ebbe dieci, metà dei quali morirono nei primi tre mesi di vita, tanto quanto ricordo che un ricco nel 2000 in pieno boom economico, avendone soltanto due, alla mia domanda se ne avrebbe voluti altri mi rispose: “Eh, beh, ma bisogna mantenerli…”.
Non intendo certo credere che esistano solo il bianco e il nero, lungi da me giudicare tutto e tutti. Ho tanto di mio da sistemare e non mi basterà il resto della vita per farlo. Rifletto però a voce alta sul fatto che, se mi guardo alle spalle, caro Sindaco Marino, io tutte queste famiglie ricche e numerose – con più di tre figli ai quali togliere l’esenzione della tassa comunale per l’asilo, perché a suo dire “se la possono permettere” – non le ho mai conosciute. Ho dovuto aspettare di riavvicinarmi alla Chiesa cattolica per scoprire che esistono genitori che fanno i conti per far mangiare sei figli, senza far mancare niente a nessuno. Ho dovuto capire, dalla realtà che ho conosciuto, che il futuro non si costruisce risparmiando sulla pelle delle prossime generazioni, ma investendo su chi forse un giorno potrà rimediare alle tante incapacità di molti di noi. Ho dovuto prendere atto del fatto che, in realtà, i ricchi – non tutti, s’intende – sono molto più dementi di quanto crede lei. Ho dovuto imparare a vedere che i poveri (felicemente e col sorriso) si arrangiano e vivono, mentre i ricchi (tristemente e a muso duro) piangono e muoiono per apatia, vivendo una vita in nome e per conto del denaro (ci ho quasi scritto un libro). Leggiamo ogni giorno di chi sceglie di morire e chi di vivere, in ogni atto quotidiano di ogni proprio giorno nuovo, ma io sono ormai dell’idea, conoscendone ancora tanti, che la vita vera un ricco, se è solo ricco, – in media – non la conosce proprio.
Questi bambini non sono i miei, ma i loro passeggini sì, sono di tutti noi. E’ per questo che Martedì 14 Ottobre, in collegamento con Ballarò, riempiremo un’altra piazza di Roma tra le 19.45 e le 22.30. Per dire – come avrebbe detto la mia bisnonna – “a chi comanda” che un Paese senza figli è un Paese senza futuro. Lasci stare, non si disturbi, andiamo gratis…
1 commento su “Caro Sindaco Marino, #iostoconipasseggini.”