di Angela Geraci, 25 Agosto 2014
Mariam Kukunashvili, fondatrice della clinica della fertilità «New Life» di Bangkok, aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava in quel 23enne giapponese, Mitsutoki Shigeta. Il ragazzo si era rivolto al centro thailandese nell’estate dell’anno scorso per trovare due madri surrogate ma, appena saputo che le inseminazioni erano andate a buon fine, aveva immediatamente chiesto di poter avere a disposizione altri uteri in affitto. Un comportamento molto strano. Si era anche informato sulla possibilità di congelare il suo sperma per continuare a procreare anche da anziano. «Diceva che la sua intenzione era quella di avere 10-15 figli all’anno», ha raccontato la dottoressa Kukunashvili che aveva allertato l’Interpol fin dalla nascita del primo bambino, a giugno del 2013. Ci è voluto più di un anno perché l’assurda storia di Shigeta, figlio di un miliardario magnate delle telecomunicazioni in Giappone, venisse alla luce: il 5 agosto scorso la polizia thailandese ha fatto irruzione in un condominio di Bangkok e ha trovato un appartamento semi arredato in cui vivevano nove piccoli (sei maschi e tre femmine) e nove donne che li accudivano. La casa era piena di biberon, pannolini e giocattoli. La stampa l’ha subito ribattezzata «la fabbrica di bambini». Shigeta, padre accertato dei piccoli e di almeno altri nove neonati, nel frattempo si è volatilizzato: ha lasciato il Paese il giorno del blitz. Le telecamere dell’aeroporto di Bangkok l’hanno ripreso. Era in compagnia di una donna e teneva in braccio un bambino piccolo, uno dei suoi figli probabilmente.
Madri surrogate pagate oltre 7mila euro l’una.
«Ogni madre surrogata è stata pagata tra i 300mila e i 400mila baht» (tra i 7 mila e i 9.400 euro), ha riferito il colonnello Decha Promsuwan che guida l’inchiesta sul caso. «Posso solo dire che non avevo mai visto nulla di simile in vita mia», ha commentato esterefatto il direttore dell’Interpol thailandese Apichart Suribunya. Il timore è che il folle progetto di Shigeta abbia oltrepassato i confini del Paese: sono al lavoro infatti anche gli uffici regionali dell’Interpol in Giappone, Cambogia, Hong Kong e India, dove il ricco giapponese avrebbe appartamenti e aziende registrate. Nel frattempo una delle cliniche della fertilità a cui si è rivolto, la All IVF di Bangkok che ha eseguito le fecondazioni in vitro, è stata chiusa perché operava senza licenza.
Le ipotesi: traffico di neonati, sfruttamento di minori, delirio.
Gli investigatori lavorano su due piste principali: «Crediamo che possa trattarsi di traffico di neonati o sfruttamento di minori», ha spiegato un investigatore. Shigeta, dal 2010, è entrato oltre 60 volte in Thailandia e spesso da lì si è spostato in Cambogia, dove ha già portato quattro dei suoi bambini. Al momento il 24enne non è stato ancora incriminato per alcun reato in Thailandia. Ma ci sarebbe anche un’altra ipotesi dietro «la fabbrica dei bebè»: una sorta di delirio di onnipotenza. La dottoressa che per prima ha dato l’allarme ha riportato alcune confidenze che Shigeta aveva fatto allo staff della clinica. «Al manager del nostro centro – ha raccontato Kukunashvili – disse che intendeva vincere le elezioni in Giappone e che per questo gli serviva una famiglia numerosa che lo votasse». «Aggiunse anche – ricorda ancora la dottoressa – che la cosa migliore che poteva fare per il mondo era lasciare un gran numero di discendenti». Ad alcuni infermieri Mitsutoki aveva addirittura rivelato che voleva avere «mille figli» e la polizia non esclude che i piccoli siano stati concepiti con gli ovuli di «donne di diverse razze». Sulla stampa giapponese c’è anche chi ipotizza che il ragazzo volesse creare una schiera di collaboratori destinati ad aiutarlo a gestire il suo patrimonio.
L’avvocato: «Non ha fatto nulla di illegale».
Shigeta, tramite il suo avvocato, ha fatto arrivare in Thailandia un campione di Dna (che è servito a provare che tutti i bambini sono davvero suoi figli) e ha fatto sapere che non c’è «nulla di disonesto o illegale» in quello che ha fatto: desidera semplicemente una famiglia numerosa e farà di tutto per riprendersi i bimbi, attualmente affidati ai servizi sociali. Intanto gli inquirenti stanno interrogando le madri surrogate ma non sono ancora riusciti a stabilire le identità di quelle biologiche. I punti da chiarire in questa storia sono tanti, compresa una questione che riguarda i passaporti: Shigeta ne avrebbe ben tre diversi, uno giapponese, uno cinese e uno cambogiano. Il mistero più grande da svelare però rimane uno: cosa si nasconda davvero nei pensieri di questo ragazzo nato nel 1990.
Fonte: Corriere