Malnati: doveroso donare i mezzi di grazia ai divorziati risposati.

di Andrea Tornielli, 7 Ottobre 2014

Il vicario per la cultura della diocesi di Trieste, studioso di Paolo VI: «Gli Orientali concedono su un fallimento sponsale la possibilità di una “benedizione di penitenza” per un’altra convivenza che non scalfisce l’indissolubilità del matrimonio fallito»

«Credo doveroso che si doni comprensione, accoglienza e i mezzi di grazia a certe condizioni a chi porta il peso di un fallimento nella indissolubilità» e questa riammissione «non scalfisce l’indissolubilità del matrimonio fallito». Lo afferma in questa intervista con Vatican Insider monsignor Ettore Malnati, parroco e vicario per la cultura della diocesi di Trieste, nonché profondo conoscitore e studioso della figura di Paolo VI. Malnati è autore di numerose pubblicazioni  e studi sul Concilio e sul magistero della Chiesa.

Quale pensa che sia l’obiettivo del Sinodo sulla famiglia?

«L’obiettivo del Sinodo è duplice: recepire valutando e progettare indicando. Recepire valutando significa conoscere le varie problematiche che investono la famiglia e il matrimonio nelle varie situazioni socio-culturali dell’intera umanità e valutare gli aspetti che minano la dignità dell’alleanza sponsale e delle persone che reciprocamente si accolgono e donano per una definitività legata al per sempre. Progettare indicando significa valutare le difficoltà culturali e di relazioni, il Sinodo deve offrire delle risposte che tengano conto della dignità delle persone e del matrimonio stesso che la Rivelazione ci indica accanto a un relativismo etico che ha scardinato l’oggettività dei criteri rendendo l’uomo da realtà penultima a realtà ultima del suo criterio».

Come giudica il dibattito (anche mediatico) che l’ha preceduto?

«Dialogare e far conoscere i propri progetti e le preoccupazioni circa il dato rivelato e la povertà dell’umano è stato un gesto di responsabilità e di lealtà. Anche nel Concilio vi furono dibattiti accesi segni di convinzioni che poi nel discernimento di chi detiene il ministero di confermare i fratelli nella fede e pascere sia pecore che agnelli trova la evangelica ed ecclesialmente giusta indicazione o decisione».

Lei è favorevole o contrario alla possibilità di riammettere, in certi casi e a determinate condizioni, i divorziati-risposati ai sacramenti?

«Avere una attenzione nei confronti di quei coniugi che hanno subito un divorzio con magari dei figli a carico credo sia per la Chiesa un dovere non aggiungere sofferenza a sofferenza. La maternità della Chiesa richiamata da san Giovanni XXIII, dal Concilio Vaticano II e da Papa Francesco credo richieda una valutazione in tal senso da parte dei “Sacri Pastori”. Ciò ovviamente non può essere arbitrario bensì valutato e disciplinato nel duplice ascolto di ciò che Dio ci ha Rivelato e della fragilità dell’uomo per il quale il Padre ha inviato il suo Figlio unigenito. Quindi credo doveroso che si doni comprensione, accoglienza e i mezzi di grazia a certe condizioni a chi porta il peso di un fallimento nella indissolubilità sponsale che rimane sempre tale anche nella disciplina della  Chiesa d’Oriente».

Questa eventuale riammissione farebbe venir meno la dottrina dell’indissolubilità?

«L’indissolubilità del patto coniugale rimane a meno che non venga riconosciuto nullo quel matrimonio. Gli Orientali concedono su un fallimento sponsale la possibilità di una “benedizione di penitenza” per un’altra convivenza che non scalfisce l’indissolubilità del matrimonio fallito».

Lei è parroco da molti anni: che cosa significa oggi andare incontro alle famiglie e alle persone che vivono in situazioni irregolari?

«In un contesto socio-culturale dove tutto è rimaneggiabile e provvisorio ed è evanescente, in senso di prassi, la sacralità della persona e della vita, anche il patto coniugale e la stessa famiglia ha ricevuto un colpo mortale. La Comunità cristiana non può chiudere le porte a nessuno tanto meno a chi porta il peso per una “irregolarità” sponsale soprattutto se vi sono dei figli. Però non può neppure banalizzare un così grande sacramento. Il parroco deve aiutare a far prendere consapevolezza delle responsabilità di quell’uomo e quella donna nei confronti di ciò che hanno distrutto o subito, offrire loro tutto ciò che la Chiesa possiede per non “far spegnere la speranza” nei cuori senza però illusioni che depauperino le proprie responsabilità verso Dio e verso se stessi e le persone ferite. Non buonismi a poco prezzo, non integralismi impermeabili ma sapersi chinare, verso chi è ferito o ha sbagliato, con il cuore e l’azione del Buon Samaritano che non sottovaluta le ferite, non abbandona ma si occupa e preoccupa di chi è incappato nei “briganti”. Il parroco è colui che più di ogni altro, magari sputando sangue, deve avere un cuore di madre, una mano forte, una voce da amico, uno sguardo da intenditore, una parola sempre sincera e un tempo dove scomoda Dio per le sue pecore: allora il parroco sarà ascoltato anche quando dice “non possumus”».

Il Sinodo si concluderà con la beatificazione di Paolo VI, un Papa in dialogo con la modernità: quale insegnamento possiamo trarre dalla sua figura per affrontare le sfide di oggi?

«Papa Francesco ascriverà nel “libro dei Beati” Giovanni Battista Montini, il Papa dell’Humanae vitae e della Populorum progressio. Un cristiano, un Pontefice che ha avuto fiducia dell’uomo moderno e si è messo accanto a lui per offrire quella luce che viene da Cristo per l’intera umanità che è amore e pace. Le vie per essere di aiuto all’umanità pensosa per Paolo VI sono indicate nella sua prima enciclica Ecclesiam suam: riforma o conversione della Chiesa e dialogo con ogni uomo, ogni confessione cristiana, ogni religione. È il dialogo e la sensibilità evangelizzatrice verso tutti specialmente gli impoveriti, dice Paolo VI, che stupirà il mondo. Papa Francesco cammina su questa rotta. Dio lo protegga e ce lo conservi».

Fonte: Vatican Insider

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