L’Italia non aiuta i padri separati.

La corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato il nostro Paese a seguito della denuncia di Sergio Lombardo, uomo che da dieci anni cerca di vedere accolto il suo desidero di vedere la figlia come previsto dal tribunale di Roma nonostante gli impedimenti imposti dalla madre.

di Maghdi Abo Abia, 31 Gennaio 2013

E fu così che l’Italia si beccò una nuova condanna da Strasburgo. Questa volta il Belpaese è stato condannato per via della sua incapacità di far rispettare le decisioni dei tribunali in relazione alle visite di un padre separato alla figlia.

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE – Secondo la corte di Strasburgo l’Italia non è stata in grado, attraverso i suoi tribunali, di mettere in atto misure concrete per realizzare quelle che sono le loro decisioni. La decisione è arrivata a seguito di una denuncia presentata da Sergio Lombardo, il quale si è separato dalla compagna nel 2003. Il tribunale di Roma aveva dato l’affido esclusivo della bimba alla donna mentre il padre avrebbe potuto incontrarla due pomeriggi a settimana, un weekend su due, tre giorni a Pasqua, sei a Natale e dieci durante le vacanze estive.

LE DIFFICOLTA’ – A quel punto l’uomo inizia a fare avanti ed indietro da Roma (la sua città) a Termoli (dove si è trasferita l’ex compagna). Ma come spesso accade l’uomo non riesce ad incontrare la piccola se non per pochissime ore e non in piena libertà. Lombardo si è rivolto tre volte in poco più di un anno al tribunale dei minori di Termoli per far valere i suoi diritti, stabiliti dal Tribunale di Roma. L’uomo ottiene sempre quanto richiesto ma le cose non cambiano. Anzi. Allora arrivano altri ricorsi a Roma e Campobasso ma niente, non riesce ad incontrare sua figlia.

LA CONDANNA – A questo punto ecco l’ultima carta, ovvero il ricorso alla corte europea dei diritti umani ma non non contro la sua ex-compagna bensì contro lo Stato italiano. Secondo Lombardo i tribunali ed i servizi sociali non hanno fatto nulla per difendere i suoi diritti di genitore. E la Corte gli ha dato ragione condannando l’Italia. Secondo Strasburgo i giudici, tra il 2003 ed il 2011, si sono limitati a riconoscere le ragioni dell’uomo ma senza dare opportuna esecuzione delle sentenze.

BISOGNA AGIRE TEMPESTIVAMENTE – “I tribunali – ha spiegato la Corte – non sono stati all’altezza di quello che ci si poteva ragionevolmente attendere da loro poiché hanno delegato la gestione degli incontri tra padre e figlia ai servizi sociali. La procedura seguita dai tribunali è stata fondata su una serie di misure automatiche e stereotipate” che hanno portato alla rottura del legame tra padre e figlia. Secondo Strasburgo i tribunali avrebbero dovuto agire per evitare che passasse del tempo rovinando irrimediabilmente quelli che sono i rapporti tra padri e figli.  Quindi non basta che il tribunale dica “si si” ma deve agire tempestivamente per evitare che l’abuso sia senza ritorno.

IL PRECEDENTE DI LEONARDO – A volte avviene invece il contrario, ovvero che vi sia un eccesso di azione da parte del tribunale. Vi ricordate la storia del bambino di Leonardo, il bambino di Padova portato via alla madre dalla polizia su ordine della corte d’Appello del tribunale di Venezia? Il video trasmesso a “Chi l’ha visto” del blitz condotto nella scuola frequentata dal piccolo ha fatto il giro d’Italia ma non era altro che un’esecuzione di quello che venne definito un abuso da parte della genitrice. La Corte, una volta verificato che la donna aveva dimostrato un’aperta ostilità nei confronti dell’uomo.

L’OSTILITA’ DELLA MADRE – Per questo la corte decise per l’affidamento esclusivo al padre ritirando la patria potestà alla donna. La mamma – questa la versione del Tribunale – ruppe il legame tra figlio e padre nel 2010 e da allora il piccolo venne influenzato dalla donna ad un odio nei confronti dell’uomo mentre i servizi sociali, su indicazione del Tribunale, si sono dovuti impegnare per fare capire al piccolo che il papà voleva vederlo perché spinto da un sentimento di amore ed affetto nei suoi confronti. Ad aggravare lo stato complessivo della faccenda il comportamento ritenuto “offensivo” nei confronti degli adulti e la necessità per il bambino di cambiare aria.

LA SENTENZA – Per questo motivo venne ordinato il blitz, riuscito al terzo tentativo condotto a scuola, dopo che per due volte il piccolo si era nascosto sotto il letto di casa. Ma come detto questo è stato reso possibile dopo che la corte d’Appello ha permesso al padre, avvocato, di avvalersi della forza pubblica per fare valere i propri diritti. Cosa che non è successa nel caso di Sergio Lombardo. Ed è questo che la corte europea dei diritti dell’Uomo ha imputato all’Italia, ovvero il lassismo nei confronti di chi non vede esaudita la giustizia riconosciuta. La sentenza ha confermato anche quella che è stata la difesa dell’Italia, rappresentata dagli avvocati Spatafora e Coppari.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA – Il ricorrente ha chiesto alla Corte di riconoscere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per il quale ogni persona ha il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, oltre che del proprio domicilio e della propria corrispondenza. L’articolo spiega poi che non può esservi l’ingerenza di un’autorità pubblica a meno che non serva alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Lo Stato si è difeso sostenendo che i tribunali avevano dato l’ordine di coinvolgere i servizi sociali per arrivare ad una sintesi del problema, che tutto era stato fatto nel migliore dei modi e che la Corte non può giudicare un fatto interno ad un Paese membro.

LA DECISIONE – L’interesse dei difensori dello Stato Italiano era quello di dimostrare che non vi era stata alcuna inerzia ma che a modo loro le diverse Corti d’Appello avevano agito nell’interesse del bambino e nella soluzione del caso e sopratutto che i servizi sociali hanno lavorato come previsto dalla legge e che non c’è stato nessuno che è rimasto lì a guardare, al contrario di quello che afferma il padre. La Corte ha però ricordato che la madre non voleva che l’uomo vedesse la figlia e che lo Stato avrebbe dovuto agire nel rispetto delle libertà individuali ma sopratutto interessandosi ai diritti del fanciullo. Il tutto il più velocemente possibile.

LE CIFRE – Per questo motivo, anche se è stato riconosciuto l’impiego dei servizi sociali, lo Stato ha ricevuto una condanna a 15 mila euro per danni morali più 10 mila a mò di rimborso per le spese sostenute dal ricorrente, il quale aveva chiesto il pagamento di 230 mila euro e portando lo Stato a definire la sua causa “un modo per fare soldi”. La sentenza quindi, se non importante da un punto di vista economico, assume ben altri connotati dal punto di vista giuridico. Non basta più raccomandare l’uso dei servizi sociali. No, bisogna agire in nome della famiglia e degli interessi del bambino.

LA FELICITA’ DEI CATTOLICI – Avvenire ha riportato la voce del Presidente dell’Associazione famiglie separate cristiane, Ernesto Emanuele, il quale ha espresso tutta la sua soddisfazione per una decisione che finalmente va a favore dei padri separati. “Conosco situazioni altrettanto drammatiche – ha spiegato l’uomo – che attendono da anni un intervento decisivo da parte dell’autorità giudiziaria”. E sono tanti i siti che raccolgono le testimonianze di padri costretti a rivolgersi alla giustizia ordinaria la quale però non sembra dare loro una mano. E parliamo di padriseparati.it, papaseparati.it, padri.itpapaseparati.org. In questi siti vengono raccolte storie e testimonianze che confermano come spesso la stessa giurisprudenza non riesca ad accogliere le legittime aspirazioni degli uomini.

PREGIUDIZIO – Avellino Ottopagine ci racconta di un’odissea giudiziaria conclusasi davanti al Consiglio Superiore della Magistratura perché secondo un padre il giudice aveva un pregiudizio nei suoi confronti. Francesco F., di Avellino, ha raccontato che tutto è iniziato dopo il divorzio. Il protagonista? Un bambino di tre anni. L’udienza presidenziale prevista è stata rinviata a causa della presenza di un certificato medico con buona pace del fatto che l’uomo, a causa di questo, non vedrà il figlio per sette mesi. A quel punto è stato presentato un ricorso in Corte d’Appello ed al Tribunale dei Minori perché il piccolo era affetto da un’anoressia di tipo psicologico.

COME FACCIO? –
Grazie all’impegno degli assistenti social si è arrivati ad una soluzione di 13 giorni al mese. Il bambino starà con il papà per questo tempo ma i timori crescono, il portafogli si svuota e l’uomo si trova ad affrontare un processo penale per maltrattamenti dietro denuncia dell’ex moglie, la quale si è rivolta in sede civile per il riconoscimento delle spese straordinarie, che secondo l’uomo straordinarie non sono per via del fatto che si tratta di beni di prima necessità come il sapone ed il dentifricio, dopo che l’uomo paga 500 euro al mese per il piccolo più 200 per la moglie.

IL CASO DI TOMMASO VINCENTI – In tutto questo la moglie, dipendente pubblica e vivente nella casa coniugale, oltre a possedere altri appartamenti e terreni, riceve il sussidio dal marito piccolo commerciante con la complicità del magistrato che ha riferito all’uomo redditi extra mai esistiti. Tutta colpa di un pregiudizio quindi, secondo lui. Ed è per questo che ha presentato ricorso al Csm. Una storia come tante, come quella di Tommaso Vincenti, il quale fu al centro di uno spinoso caso internazionale per via dell’affidamento delle figlie ottenuto in Italia con le bambine portate via dalla madre con la scusa di una vacanza in Australia, a Brisbane.

VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE – L’uomo si è trovato costretto ad affrontare un lungo ed estenuante percorso, del quale abbiamo parlato all’epoca dei fatti. La convenzione internazionale dell’Aja ha stabilito che in caso di disputa tra genitori di diversa nazionalità i bambini devono sottostare alla legge del paese di nascita, in questo caso l’Italia. La donna invece si è rivolta fino all’alta corte di Canberra chiedendo che le piccole restassero con lei in quanto cittadine australiane. Alla fine fu Laura Garnett, la madre, a perdere la battaglia visto che il tribunale stabilì che le bimbe sarebbero dovute tornare in Italia come previsto dalle convenzioni internazionali. Prima però vennero prelevate dalla polizia australiana e messe in un posto sicuro per evitare che venissero nuovamente nascoste.

I NUMERI DELL’AFFIDAMENTO IN ITALIA – L’Istat ci ricorda che fino al 2005 ha prevalso l’affidamento esclusivo alla madre mentre dal 2006 in poi, grazie all’affidamento condiviso previsto dalla legge 54, l’86,2 per cento dei casi ha visto lo sviluppo di questa nuova soluzione mentre il 12,2 per cento dei casi ha visto l’affidamento congiunto della madre. Il resto, ovvero l’1,6 per cento dei casi, ha visto prevalere i padri o l’affidamento a soggetti terzi. Questi sono numeri, a dimostrazione che la giurisprudenza preferisce o una soluzione congiunta o la vita con la madre.

LO STATO DEVE AGIRE – Ma spesso capita che per via di vecchi rancori o di indicazioni da parte degli avvocati. A quel punto deve intervenire lo Stato che deve garantire in maniera tempestiva ed efficace l’affermazione della legge. E’ una questione di uguaglianza e di rispetto senza che vi sia un sostegno da una parte o da un’altra. La sentenza della corte europea di Strasburgo probabilmente farà giurisprudenza o forse resterà un caso isolato. Vedremo in futuro. Ma lo Stato deve fare di più, questo è l’auspicio dell’Europa e sicuramente delle migliaia di padri separati che aspettano che qualcuno senta la loro voce.

Fonte: Giornalettismo

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